È una data tonda questa per Alfonsina Strada, nata Alfonsa Morini a Castelfranco Emilia il 16 marzo 1891. Sono trascorsi esattamente 100 anni dall’impresa che la consegnò alla storia: la partecipazione – prima e unica donna – al Giro d’Italia del 1924.

L’importante è partecipare. Quante volte abbiamo sentito, o detto, questa frase? Il primo a pronunciarla pubblicamente, e a farne un motto planetario, fu Pierre De Coubertin, l’inventore dei Giochi Olimpici moderni. Era il 1896, e si stava tenendo una riunione del Comitato Olimpico Internazionale in vista delle prime Olimpiadi ad Atene. Si erano iscritte solo 14 nazioni, fra cui l’Italia. Gli altri paesi si stavano chiedendo perché mai avrebbero dovuto prendervi parte, sobbarcarsi la fatica delle spese, gli spostamenti, l’organizzazione. Cosa ci fosse di così importante in una manifestazione sportiva mondiale. «L’importante è partecipare» rispose De Coubertin: era un’iniziativa rivoluzionaria. Esserci, cambiare la storia mentre la si sta facendo. Un significato molto diverso dall’atteggiamento dimesso, quasi rinunciatario, che gli abbiamo attribuito.

ANCHE CENTO ANNI FA, nei giorni in cui Alfonsina affrontava il Giro, le Olimpiadi si tennero a Parigi. Un’edizione memorabile, con prestazioni sportive mai raggiunte prima, come quella di Paavo Nurmi, il “finlandese volante” che conquistò cinque titoli olimpici nei 1500m, 5000m, 3000m a squadre, cross individuale e cross a squadre. O il nuotatore americano Johnny Weissmuller che vinse i 100, 400, 4×200 stile libero e il bronzo nella pallanuoto, prima di diventare, pochi anni più tardi, il Tarzan più famoso della storia del cinema. E la vicenda sportivo-religiosa dei velocisti inglesi Eric Liddel e Harold Abrahams, cristiano fervente l’uno ed ebreo praticante l’altro, raccontata nel film Momenti di Gloria. Perché il movimento, fisico o di pensiero che sia, ci porta a fare cose impensate, oltre ogni nostro limite.
Da innamorata dello sport, vedo infrangersi questa barriera ogni volta in cui un atleta cerca di correre più forte che può, di fare un tuffo perfetto, insaccare la palla nell’angolo irraggiungibile dal portiere. In quel momento si sta scontrando coi suoi limiti, sia fisici che mentali, e spesso li supera.

USAIN BOLT che corre i 100 mt. in 9.58 non ci sta solo dicendo che può andare a quella velocità, ma che l’essere umano può farlo. Una velocità impensabile solo fino a trent’anni fa. Come se stessimo sconfinando, se ci stessimo espandendo, se diventassimo in un certo modo immortali.

Alfonsina Strada incarnò alla perfezione questo sconfinamento, percorrendo 3.613 chilometri contro i pregiudizi e leggi ingiuste. È un errore dire che volle «sfidare i maschi», e non solo perché fra i suoi detrattori le più numerose erano le donne. Piuttosto, ne sfidò solo uno: Benito Mussolini, il cui governo aveva vietato le competizioni sportive femminili e che da principio tuonò contro quell’impudente. Poi, man mano che Alfonsina conquistava l’affetto del mondo a colpi di pedale, si sperticò in lodi e le promise una medaglia che lei non andò a ritirare. Cercava di attirare su di sé un po’ della simpatia che l’opinione pubblica riversava su Alfonsina e distogliere l’attenzione da un altro fatto di quei giorni: il rapimento e l’uccisione di Giacomo Matteotti, politico e giornalista.

SONO TANTI GLI ECHI che risuonano in questo anniversario. Inclusa la risposta che Alfonsina diede a Cougnet, l’amministratore della Gazzetta dello Sport, che cercava di convincerla che il Giro era riservato agli uomini perché il regolamento parlava di «corridori». «È colpa della lingua italiana» ribatté lei. I termini corridori e ciclisti definivano un insieme misto, ed era impossibile sapere con esattezza da chi era composto. Si dice che Cougnet, ridendo, si sia trovato d’accordo con lei. D’altra parte aveva già deciso di ammetterla. Lei sollevò le sorti di quel Giro, altrimenti piuttosto fiacco, e portò sé stessa e tutti noi oltre il limite, indicandoci la strada permolti temi di cui, dopo cento anni, dibattiamo ancora.