Non bastava l’espressione dal sapore razzista sui venditori delle spiagge (definiti con l’antiquato nome di «vucumprà»), Angelino Alfano ieri ha anche attaccato di petto i diritti dei lavoratori. In particolare, quella che è diventata una vera e propria “ossessione” per l’Ncd: l’articolo 18. Il segretario del Nuovo Centro Destra, probabilmente per riprendersi una centralità mediatica ultimamente molto offuscata (non solo dal premier Matteo Renzi, ma anche dal patto del Nazareno tra Pd e Berlusconi), ha chiesto «un segnale di forte semplificazione delle regole con l’abolizione dell’articolo 18 entro la fine di agosto».

Angelino Alfano suggerisce «tre mosse» per rilanciare la crescita: 1) il pagamento di «15 miliardi di debiti della pubblica amministrazione entro fine settembre»; 2) con la delega fiscale, dare «centralità della famiglia, semplificazione, possibilità per gli imprenditori, come già avviene con l’Iva, di pagare le tasse non quando fatturano ma solo quando incassano». E quindi, dopo aver difeso, come è di prammatica, «la famiglia» (come non pensare all’attuale polemica sull’eterologa?), c’è il terzo punto: abolire l’articolo 18 già nel decreto «Sblocca Italia», che appunto il governo dovrebbe varare entro fine agosto.

Alfano spiega: «Per noi l’abolizione dell’articolo 18 diventa necessaria». «Anche se il luogo più naturale sarebbe la delega Lavoro – continua il leader Ncd – chiediamo che se ne discuta subito per poi inserirlo nel decreto Sblocca Italia a fine mese» e «sarebbe già un segnale molto forte cominciare dai nuovi assunti».

La norma sui licenziamenti, secondo Alfano, è «un totem degli anni Settanta» e «non è stata abolita finora perché ha retto un asse fra il Pd e il sindacato. Ma ormai è il momento di mettere davanti a tutto la necessità di dare un lavoro a chi non ce l’ha, liberando da ogni laccio l’imprenditore che vuole assumere qualcuno». Il ministro degli Interni si dice sicuro che «se “sblocchiamo” l’idea che un’assunzione sia un matrimonio a vita» il mondo delle imprese risponderà.

Su una possibile collaborazione con Forza Italia sui temi economici, Alfano dice: «A novembre loro sono usciti dal governo: se ad agosto vogliono rientrare lo dicano apertamente, è inutile tutta questa tarantella. Ma devono riconoscere che noi avevamo visto giusto e la loro fu una scelta sbagliata in un momento in cui l’Italia stava per finire in un burrone».

Forza Italia, o almeno uno dei suoi “falchi”, però, risponde positivamente: «@angealfa @matteorenzi su misure economiche e moratoria per 3 anni articolo 18 centrodestra unito. E il Pd?», dice in un tweet Renato Brunetta, facendo intendere insomma che il famoso (e da alcuni auspicato) allargamento della maggioranza può (e dovrebbe) passare per il 18.

Non è d’accordo con il suo compagno di partito Renata Polverini: «Il problema della disoccupazione non si può attribuire ai diritti conquistati dai lavoratori bensì a un sistema economico asfittico, che non crea lavoro».

Ma il Pd argina, almeno per il momento, l’aggressione alfaniana: «Il nuovo articolo 18, quello cambiato dalla legge Fornero del 2012, già funziona. Non si vede la ragione di fare un’altra modifica», dice il sottosegretario al Lavoro, Luigi Bobba. Perché è vero, va ricordato: l’articolo 18 è già stato pesantemente indebolito dalla riforma Fornero.

Più possibilista, ma per ora frena, Lorenzo Guerini, vice segretario Pd. Pur assicurando che il tema «non è tabù», rimanda alla delega lavoro: «Sbagliato – dice – anticipare la discussione a strumenti non propri. Nel Jobs Act non ci saranno chiusure pregiudiziali, ma senza la tentazione di piantare bandierine».

Netto altolà anche dal fronte del sindacato. «Caro Angelino non serve abolire art 18 visto che aziende assumono con contratti a termine e false partite IVA . Aboliamo quelle», risponde con un tweet Raffaele Bonanni (Cisl).

Per Maurizio Landini, leader della Fiom, «sarebbe un errore gravissimo»: «L’esistenza dell’articolo 18 – dice – è l’ultimo dei problemi dell’Italia. Tra l’altro è già stato modificato e non ha creato posti di lavoro, anzi ci sono stati più licenziamenti per motivi economici».