Alfano si arrende, Renzi fa bingo
Quirinale Al termine di una giornata tormentatissima, dopo un ruvido faccia a faccia con il presidente del consiglio e un "appello al voto", il ministro dell’interno decide di tornare sui suoi passi. Questa mattina i grandi elettori di Area popolare (Ncd e Udc) ufficializzeranno il loro sì a Mattarella
Quirinale Al termine di una giornata tormentatissima, dopo un ruvido faccia a faccia con il presidente del consiglio e un "appello al voto", il ministro dell’interno decide di tornare sui suoi passi. Questa mattina i grandi elettori di Area popolare (Ncd e Udc) ufficializzeranno il loro sì a Mattarella
Sergio Mattarella eletto dodicesimo presidente della Repubblica italiana con 665 voti (ore 13.10).
Le sue prime parole da capo dello stato: “ll mio pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini. E’ sufficiente questo” (ore 14.20).
Il giuramento alle camere martedì alle 10 (ore 14.40).
Un gesto, almeno un gesto. Per la verità Angelino Alfano fa sapere che quello che si aspetta da Matteo Renzi è «un segnale importante», ma in sostanza basta un qualunque appiglio che permetta all’Ncd di tornare sui suoi passi e trasformare le annunciate schede bianche – se non l’uscita dall’aula, come si era addirittura ventilato in mattinata – in voti convinti per Sergio Mattarella.
Il «segnale» arriva sul fare della sera. Un «appello», veniva annunciato in Transatlantico da esponenti del Pd. Un «comunicato», derubricano nel giro stretto renziano. Del resto le righe vergate dal presidente del consiglio non contengono chissà quali riconoscimenti agli alleati di governo: «Siamo di fronte alla concreta possibilità che una personalità autorevole e stimata da tutti diventi il presidente della Repubblica con un voto ampio di settori della maggioranza e dell’opposizione», premette Renzi. Secondo i calcoli che fanno nella sala del governo di Montecitorio lo stesso premier insieme allo stato maggiore del Pd, la candidatura Mattarella disporrebbe infatti già di numeri agevoli, grazie anche all’eterno richiamo della foresta democristiana che risuona fin nelle file forziste. Ma, prosegue il premier-segretario, «non è una questione che riguarda un solo partito. Per questo auspico che sul nome di Mattarella si determini la più ampia convergenza possibile per il bene comune dell’Italia».
A una convergenza più ampia rispetto a quella di partenza ha in effetti interesse lo stesso Renzi, che anche soltanto con un patto del Nazareno compromesso (almeno in apparenza), rischierebbe di trovarsi in difficoltà non solo sulle riforme, ma, almeno a palazzo Madama, sull’attività parlamentare quotidiana, agevolata da un’opposizione forzista non certo battagliera. Ma appunto, non è esattamente un appello quello che, nel faccia a faccia con il suo ministro dell’interno che precede il comunicato di pace, il presidente del consiglio rivolge a Alfano. Gli Ncd contestano al premier un «errore di metodo», nella partita del Quirinale, non il nome in sé, ma la mancata condivisione di quel nome. Accusa che Renzi riversa invece sull’alleato. E’ lui ad aver sbagliato – è il rimprovero – andando a saldare un asse con Silvio Berlusconi per l’elezione del presidente, invece di condividere una discussione all’interno della sua maggioranza. E’ lui ad aver combinato un pasticcio. E poi come è possibile che tre ministri non votino il presidente della repubblica, e uno di questi ministro degli interni, per giunta, cioè lo stesso Alfano. Una cosa mai vista. Dunque, nella migliore delle ipotesi, per gli Ncd, si scordino come minimo il Viminale. La peggiore sono, come da consueta minaccia renziana, le elezioni anticipate. E già nei capannelli si ipotizza persino un ritorno alle urne con l’Italicum per la Camera e il Consultellum per il senato. Il tam tam di Montecitorio fa arrivare anche la voce di una presunta telefonata del presidente emerito Giorgio Napolitano a Angelino Alfano per convincerlo a riflettere e a votare infine per Sergio Mattarella. Ma in ogni caso Alfano va a colloquio con Renzi – in una giornata per lui tormentatissima, con un partito spaccato tra ri-berlusconiani e neorenzisti, – già pronto alla resa. Ma chiedendo appunto al premier che gli offra un appiglio.
L’appiglio arriva, Renzi telefona a Alfano mentre Roberto Formigoni sbandiera l’appello di palazzo Chigi come un importante gesto che «ripara all’errore di metodo iniziale, togliendo a Mattarella quell’aura di uomo solo del Pd, senza attenzione agli alleati di governo». «Si va verso una soluzione positiva», si fa sapere dagli alfaniani in attesa che questa mattina sia sciolta formalmente la riserva dall’assemblea dei grandi elettori di Area popolare. Mentre per assicurare il loro sì a Mattarella attraverso un comunicato, undici senatori del gruppo Ncd-Udc, non aspettano l’ennesima riunione ufficiale. Quella prevista per le otto di sera e poi slittata alle nove è infine rinviata alle otto di questa mattina, perché Alfano è attaccato al telefono con Berlusconi. Che a sua volta aveva anche ricevuto una telefonata di rimproveri da Renzi, che si sarebbe detto pronto a andare avanti sulle riforme anche senza Forza Italia. Altri tormenti, altre spaccature, quelle forziste che alla fine – tocca annunciare a Renato Brunetta – si riverserannoi su una scheda bianca, al netto dei «franchi votatori».
A fine giornata l’azzardo di Renzi, la scelta di tenere unito il partito e di eleggere il presidente con la sinistra a costo di rompere con la destra, è a un passo dal trasformarsi in bingo, oggi, con l’elezione di Mattarella.
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