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Alfano fa lo gnorri: “Nessuno sapeva”

Alfano fa lo gnorri: “Nessuno sapeva”Angelino Alfano – Fabio Antimiani - Eidon

Kazakistan Il ministro in parlamento sul caso Ablyazov: «Nessuno ci ha detto che era un dissidente». Salta solo Procaccini, Valeri sostituito

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 17 luglio 2013

Alla fine, com’era prevedibile, ha prevalso la linea più comoda, quella del «non sapevo». Anzi, non sapeva nessuno. Non sapeva Angelino Alfano, il ministro degli Interni che non è stato informato dai suoi funzionari. Non sapeva il ministro degli Esteri Emma Bonino e non sapeva neanche il premier Enrico Letta. Tutti all’oscuro e tutti convinti che la vicenda di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua altro non fosse che la normale espulsione di una clandestina con i documenti non in regola e non il rimpatrio forzato della moglie di uno dei principali dissidenti del presidente kazako Nursultan Nazarbaev. Neanche i funzionari di polizia che la sera del 28 maggio scorso hanno fatto irruzione in forze nella villa di Casal Palocco dove la donna viveva, sapevano con chi avevano a che fare.
Dopo una settimana passata sulla graticola è questa la strada scelta dal governo per uscire indenne dalla pasticcio che si è creato con l’espulsione della moglie e della figlia di Mukhtar Ablyazov, il banchiere e oppositore del governo kazako. Alfano la illustra nel pomeriggio al Senato dove si reca per riferire sui contenuti della relazione che in mattinata gli ha fatto avere il capo della polizia Alessandro Pansa, chiamato dallo stesso titolare del Viminale a far luce sui tanti aspetti poco chiari della vicenda. E Alfano, che parla circondato da un nutrito gruppo di ministri a dimostrazione dell’unità del governo, sta bene attento a sottolineare come quanto sta per dire è il frutto del lavoro svolto da Pansa. Lo sottolinea quando ripete «leggo il virgolettato» del capo della polizia, come a dire che se domani qualcosa dovesse risultare sbagliato la responsabilità non è sua. Ma anche per ricordare a chi chiede le sue dimissioni che se cade lui, allora potrebbe cadere anche il capo della polizia.
Ma non è l’unico atto che il ministro fa a difesa del proprio ruolo. Dopo aver infatti promesso per giorni che sarebbero «rotolate delle teste», ieri Alfano ha annunciato di aver chiesto sempre a Pansa «una riorganizzazione complessiva del dipartimento di pubblica sicurezza, a cominciare dalla Direzione centrale dell’immigrazione». Spetterà al capo della polizia dunque decidere su eventuali sanzioni e rimozioni. Decisioni che Alfano sa bene che non avrebbe mai potuto prendere senza rendere difficile, se non impossibile la sua permanenza ai vertici del ministero. A pagare per il caso Shalabayeva per adesso è quindi solo uno: il prefetto Alessandro Procaccini, capo di gabinetto di Alfano, che si è dimesso martedì sera. Il capo della segreteria del dipartimento di Ps, il prefetto Raffaele Valeri verrà invece sostituito. Entrambi, tra l’altro, sono prossimi alla pensione.
La relazione di Pansa, pubblicata sul sito del Viminale, si compone di due parti: una prima con la ricostruzione cronologica di quanto accaduto dal 27 maggio, giorno in cui l’ambasciatore kazako a Roma dopo aver cercato inutilmente di parlare con Alfano incontra Procaccini e gli presenta Ablyazov come un «latitante», «in contatto con la criminalità organizzata» e addirittura «un terrorista», fino al momento in cui Shalabayeva e Alua vengono fatte salire su un jet privato a Ciampino e rispedite in Kazakistan. Nella seconda parte ci sono invece le valutazioni del capo della polizia, a partire proprio dal «mancato coinvolgimento dei vertici del governo». «In nessuna fase della vicenda i funzionari italiani hanno avuto informazione alcuna che Ablyazov fosse un dissidente politico fuggito dal Kazakistan e non un pericolo ricercato in più paesi per reati comuni», dice il ministro, secondo il quale Shalabayeva avrebbe mai detto di essere la moglie di un dissidente né avrebbe richiesto asilo politico. Neanche quando, una volta nell’ufficio immigrazione della Questura, ha visto il cognato essere rilasciato dopo aver mostrato un permesso di soggiorno lettone, rilasciato dunque da un paese aderente al Trattato di Shengen. In realtà la donna un documento lo ha mostrato, un passaporto diplomatico che le è stato rilasciato dalla repubblica Centrafricana che viene però considerato falso.
Nessuno, a quanto apre di capire, si è preso la briga verificare le informazioni su Ablyazov fornite dall’ambasciata kazaka. Neanche quando ormai la caccia al «pericoloso latitante» era chiaramente sfumata «E’ mancata l’attenzione a una verifica puntuale e completa su tutto il rapporto innescato dalla autorità kazake» prosegue Alfano, che pure ammette come proprio l’insistenza «così evidente e tangibile» dimostrata dall’ambasciatore kazako «e l’utilizzo di un volo non di linea per il rimpatrio delle due cittadine kazake avrebbe dovuto rappresentare elemento di attenzione tale da far valutare l’opportunità di portare l’evento a conoscenza del ministro». Così però non è, o non sarebbe, stato. Il governo si è impegnato a fare di tutto perché Shalabayeva e sua figlia tornino in Italia, mentre il ministro Bonino ha fatto sapere che convocherà l’ambasciatore del Kazakistan «per ricevere chiarimenti sul caso Ablyazov». Quarantanove giorni dopo i fatti.

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