Ha scritto una volta Umberto Eco che parodiare un testo è un modo involontario di rendergli omaggio, anche quando l’intenzione è di dissacrarlo. La ballata di Alessio Lega, «I treni per Giovanna Marini», è tecnicamente una parodia – un testo che ne evoca un altro e lo trasforma – ma è un omaggio volontario e cosciente, un dialogo intenso con un testo fondante della nostra storia musicale, poetica e politica, «I treni per Reggio Calabria» di Giovanna Marini.

«Andavano coi treni giù nel Meridione / per fare una grande manifestazione / il ventidue d’ottobre del ’72…»

Per raccontare il suo viaggio insieme con gli operai che da tutta Italia scesero a Reggio Calabria per porre fine al tentativo insurrezionale fascista, Giovanna Marini inventava un nuovo linguaggio musicale e poetico, ricco di tutto il sapere accumulato della cultura popolare ma adeguato alle storie nuove di un mondo che cambiava ma non dimenticava, intrecciando la profonda cultura contadina del Sud con la cultura di fabbrica del Nord: «Famiglie intere, tre generazioni /. Son venute tutte insieme da Torino / Vanno dai parenti / Fanno una dimostrazione / Dal treno non è sceso nessuno / La vecchia e la figlia alle rifiniture / Il marito alla verniciatura / La figlia della figlia alle tappezzerie / Stanno in viaggio ormai da più di venti ore / Aspettano seduti sereni e contenti /Sopra le bombe non gliene importa niente …»

Sopra le bombe – i fascisti avevano minacciato di far saltare in aria i treni («si parla di una bomba sulla ferrovia»), e i treni partivano, si fermavano, tornavano indietro – ma «dal treno non è sceso nessuno». Nessuno ha mai raccontato con tanta efficace chiarezza la fermezza tranquilla, il coraggio, la pazienza di una classe operaia che credeva nel futuro e diventava davvero la classe generale che teneva unito un paese sempre sul punto di andare in pezzi: «tanta gente e tanta commozione il Nord è arrivato nel Meridione».

Il 26 maggio 2024, la Scuola Popolare di Musica di Testaccio chiama a Roma tutti quelli che le hanno voluto bene e che hanno imparato da lei per dare un abbraccio a Giovanna Marini. Da Milano, Alessio Lega si mette in viaggio. E anche stavolta il treno non parte, si parla di guasti sulla ferrovia (il treno di Giovanna è fermo a Priverno, quello di Alessio bloccato a Salerno, per entrambi «è una notte d’inferno»).

Mi viene in mente che in «parodia» c’è anche «odos», viaggio: il viaggio di oggi che evoca quello di allora. Strofa per strofa, verso per verso,Alessio Lega richiama le parole e i suoni di Giovanna Marini per raccontare il suo viaggio nella realtà stanca ma irriducibile di oggi. La pazienza è la stessa: Giovanna Marini parlava di anni e anni per due soldi di pensione e mattinate intere per un certificato, Alessio Lega di mesi interi per un certificato e anni e anni per una visita in ospedale. Ma sembra cambiato lo stato d’animo, la pazienza rivoluzionaria di allora sembra diventata la passività subalterna di oggi: «famiglia disperate senza soldi, seppellite in una gabbia di rancore odiano i più poveri di loro, ma rimangono ad aspettare» mentre razzisti e fascisti vanno al potere e neanche i treni che partono in orario.

La ballata di Alessio Lega si chiama «I treni per Giovanna Marini». È Giovanna la meta implicita del viaggio; la ballata serve anche per ritrovarla e ritrovarsi in lei. Un musicista di un’altra generazione guarda indietro verso una indimenticabile maestra e guarda avanti per capire in che modo continua il viaggio: è l’essenza della tradizione, continuità e cambiamento – «prendi l’antico per fare il nuovo», come dice anche Bruce Springsteen.

Attraversando la terra desolata di oggi, Alessio Lega si domanda se resta qualcosa di quella ventata di democrazia che invase allora Reggio Calabria, e nonostante tutto ci spera ancora. Guardiamo l’arrivo, la meta del viaggio. Reggio Calabria, 1972: «E alla mattina c’era la paura / E il corteo non riusciva a partire / Ma gli operai di Reggio /Sono andati in testa /E il corteo si è mosso improvvisamente …»
Testaccio, maggio 2024: «E nel cortile c’era un po’ paura, la canzone non riusciva a partire / Ma quelli di Testaccio hanno fatto il coro e la banda si è mossa impalpabilmente» e il suono «Si è levato come un canto di lotta, s’è levato come un canto d’amore».

A Reggio, «volavano sassi e provocazioni, ma nessuno s’è neppure voltato»; a Roma, «Volavano musica e parole / diventavano una sola voce / C’è sempre qualcuno che resiste anche nel tempo più atroce» – gli operai della GKN, gli studenti contro le guerre, il canto che spezza il silenzio e l’indifferenza … «Alla sera Reggio era tra-ormata, pareva una giornata di mercato»; «Alla sera il cielo [sopra Testaccio] era rischiarato come il sogno di una cosa / Non sembrava morto nessuno, sembrava nata qualcosa».