Alessandro Morani, un seguace italiano dell’estetismo di Morris
A Roma, Galleria Simone Aleandri «Alessandro Morani», 1859-1941, a cura di Francesco Parisi
A Roma, Galleria Simone Aleandri «Alessandro Morani», 1859-1941, a cura di Francesco Parisi
La galleria romana di Simone Aleandri continua a coltivare il piacere delle scoperte. Si tratta spesso d’anelli perduti, senza i quali certe genealogie d’arte apparirebbero imprecise. E si scopre che tali ricerche il più delle volte funzionano meglio in luoghi come questi, dove sono sorrette dall’amore per gli oggetti, che non nei corsi universitari. Cosa sarebbe stato infatti di Alessandro Morani in una di quelle tediose litanie che sono le rassegne scientifiche?
Di questo artista discontinuo, ma fondamentale per comprendere la penetrazione dell’estetismo inglese in Italia, Aleandri e il curatore, Francesco Parisi, ci propongono (fino al 24 marzo) un’eccellente selezione. Dai paesaggi della campagna romana che paiono anticipare un certo Sartorio, pieni di respiro e movimento, quasi sfiorati alle volte (Mietitori nella campagna romana) da un panico soffio, alle scene di lavoro campestre, nobili come fregi, e di costiere, di piane e di marine, più semplici e idealizzate (La nuvola rosa, Litorale al tramonto); dalle copie dei preraffaelliti (lo studio da Salutation of Beatrice e da Beata Beatrix) ai disegni d’una determinatezza quasi febbrile (La grande quercia, Girasole): fu tante cose il Morani.
E in ciò non si mostrò da meno del suo maestro, l’inglese William Morris. Al pari di lui coltivò lo studio meticoloso degli elementi naturali, come traspare dai disegni preparatori, e degli ornamenti antichi (egli stesso, d’altra parte, proveniva da una famiglia di decoratori). E, sempre su ispirazione morrisiana, partecipò al progetto di riprodurre in acquarello il complesso decorativo della Basilica di Santa Maria Maggiore, il che gli permise d’affinare il suo interesse per la tecnica musiva, da lui riportata in auge insieme alla vetraria. Fu inoltre tra i fondatori della rivista «L’Italia artistica ed industriale» e partecipò ai due lavori che più s’avvicinavano agli ideali della Kelmscott Press, l’Isaotta Guttadauro di D’Annunzio e «Il Convito» di De Bosis. Spirito poliedrico, insomma, ma le cui facce Aleandri ha saputo raccogliere in un’ammirevole unità di insieme.
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