Alessandro Haber, unico
«Sono una bestia», è il suo esordio : « Non ho cultura: se prendo una penna in mano mi si ingessa alle dita». E subito corregge: «Bestia, ma sensibile». E […]
«Sono una bestia», è il suo esordio : « Non ho cultura: se prendo una penna in mano mi si ingessa alle dita». E subito corregge: «Bestia, ma sensibile». E […]
«Sono una bestia», è il suo esordio : « Non ho cultura: se prendo una penna in mano mi si ingessa alle dita». E subito corregge: «Bestia, ma sensibile». E si differenzia: «Diverso, per esempio, da Michele Placido, che ha un’allure da filosofo». La sera, alla presentazione con Sara Serraiocco del toccante In viaggio con Adele, opera prima di Alessandro Capitani (già prenotato al parigino Festival Droits des Femmes & Cinéma di dicembre, prima che ricevesse due premi al Magna Graecia Film Festival, per la migliore opera prima e il miglior attore), Alessandro Haber così commenta il trailer, insistente variar di schiume, sullo schermo in piazza del Festival Pop Corn di Francesca Castriconi: «Mi son riconosciuto in questa risacca, nel frangersi ogni volta diverso, inatteso, dell’onda a riva. Anch’io son così: sul pubblico che m’accoglie vado a sbattere in modo ogni volta diverso, inatteso anche per me». Invitato d’onore, con la giurata Raffaella Carrà (che lo elogia per la «recitazione easy, sempre vera»), al Festival dei cortometraggi di Porto S. Stefano, Haber, negli incontri, non è una risacca ma uno tsunami. A 72 anni («portati bene: grazie… »), 140 film tra piccoli e grandi ruoli, a partire da La Cina è vicina di Bellocchio interpretato a 19 anni, da allora in continuo viavai tra cinema, teatro, tv e canto, Haber è ora in gran fermento per la preparazione di Maledetti amici miei, novità Raidue, in 7 puntate dal 1° ottobre.
Di che si tratta?
Siamo in quattro: Sergio Rubini, Giovanni Veronesi, Rocco Papaleo e io. Ospiti fissi, Max Tortora e Margherita Buy. Tre anni fa, in un anfiteatro davanti a un lago, avevamo improvvisato un’iniziatica, collettiva messa a nudo di noi stessi. Continuerà in tv, ogni giovedì, questo gioco a quattro, dove ci scopriamo con complicità e amicizia.
L’amicizia è importante nella sua vita, vero ?
Meno male che c’è. Che una donna ti tradisca, è nei preventivi. Tante mi han lasciato, è stato giusto così: sono, diciamo, una persona un po’ difficile. Ma se ti tradisce un amico è la fine: hai dato tutto te stesso e che cosa ti resta ? Una gran malinconia, un’amarezza senza fine.
Una sua prova d’amicizia ?
Roberto Herlitzka. Nell’82 a Torino, al Teatro Adua, eravamo insieme nel Faust. Lui aveva allora 35 anni : una faccia da cinema unica. Ma nessuno l’aveva mai preso in un film. Compro dieci gettoni (allora non c’erano i cellulari, si comunicava dai telefoni a gettone) e chiamo il mio agente. Ha girato così il suo primo film, il primo d’una lunga carriera cinematografica.
Non trova che «In viaggio con Adele» sia una storia tagliata su di lei?
Sicuramente. È un on the road doppiamente rivelatore: la progressiva conoscenza d’una figlia, ormai adolescente, che il padre, affermato attore di teatro, non sapeva di avere e, poco a poco, la presa di coscienza, per il genitore, di una dimensione sentimentale che il suo lavoro gli aveva sottratto. Anafettivo lui, anafettiva lei, che la solitudine ha reso ‘neurodiversa’. L’incontro sarà per entrambi un capovolgimento esistenziale.
In che cosa il film tocca il suo privato ?
Ho anch’io una figlia, Celeste, di 14 anni, che ho voluto quando ne avevo 58. Mi ha cambiato la vita. Forse l’ho voluta proprio per questo. Fa talmente parte di me che, sembrerà banale, il suo nome è nel mio personale indirizzo mail. Come il mio personaggio nel film, ho imparato a vedere le cose con gli occhi d’un altro: i suoi.
La figlia ha contribuito a sedare le sue frequenti turbolenze?
L’ansia è la mia condizione naturale di vita. Non riesco a concepire una vita senza ansia. La routine mi addormenta. Anche nelle trasferte da Roma a Milano, preferisco avventurarmi in strade sconosciute che affidarmi alla solita autostrada. Che noia, che tutto torni: a volte bisogna cercare che non torni. Il difetto è un arricchimento, non una diminuzione: capisci il vero senso di quel che fai. Se, soprattutto durante la preparazione di uno spettacolo, non vado in crisi, mi preoccupo.
A volte non esita a coinvolgere gli altri nelle sue crisi, nelle sue rivolte.
Taormina! Nell’87, quando il Festival di cinema era diretto da Guglielmo Biraghi. Salito sul palco del Teatro Antico, mi son dichiarato deluso per non essere stato premiato per Tommaso Blu di Florian Furtwängler. Come si fa a ignorare un bel film indipendente, premiando invece un Tom Conti, attore del business hollywoodiano ? Il presidente di giuria, Nagisha Oshima, l’ho subito detestato.
Lei ‘circola’ spesso in area indipendente, dando una mano a esordienti.
È successo con Maurizio Zaccaro, nell’89, per il mediometraggio In coda alla coda, calvario d’un automobilista che non riesce a disfarsi della sua macchina da rottamare. Ho anche bei ricordi di corti, L’ultima questione, un faccia-a-faccia tra me e la Morte. Il regista, Corrado Franco, era passato al corto dopo una serie di lunghi, arrivando al successo: Nastro d’argento nel 2000 a Taormina.
Anche lei, al culmine della notorietà, s’è rimesso in gioco proponendosi come cantante.
Ho scritto e cantato canzoni: una voce giudicata di scuola francese. Ho partecipato due volte al Premio Tenco a Sanremo. Cinque cd, da Haberrante a Qualcosa da dichiarare, a Il sogno di un uomo… E Francesco De Gregori mi ha fatto un regalo: ha scritto per me La valigia dell’attore.
Qual è stata, nel cinema, una sua tappa-chiave ?
«Regalo di Natale», nell’86, il film che ha rilanciato Diego Abatantuono. Per me è stato un concorso di belle coincidenze. Pupi Avati mi aveva fatto mille promesse. E ancora non era successo niente. Un giorno di pioggia, nell’inferno del traffico romano, capito per caso davanti ai suoi uffici: non c’è un posto libero. Ma, magicamente, un’auto riparte e riesco a posteggiare. È stato il mio regalo: perché, salito dal regista, messo alle strette, mi ha dato la parte.
E in teatro ?
«Orgia» di Pier Paolo Pasolini, rappresentato a Parigi al Centre Pompidou. Alle prove, allo Stabile di Torino, ho fatto piangere Mario Missiroli. Mi spronava con i suoi modi diretti, sopra le righe. Un giorno, mi son lasciato andare a una specie di transe: quando ho finito e ho guardato in platea, c’era il regista che piangeva, commosso. Quello spettacolo è anche legato a una misteriosa coincidenza. Ero a Londra, nel ’75, quando mi è arrivata la notizia della morte di Pasolini. E 10 anni dopo, di nuovo a Londra, m’è arrivata la telefonata di Missiroli che mi proponeva Orgia.
Altra esperienza teatrale per lei importante ?
«Arlecchino servitore di due padroni», con la regia di Nanni Garella, nel ’95. Quando lo Stabile di Bologna me l’ha proposto, ho fissato le mie condizioni: niente maschera e niente vestitino a rombi. Lontano le mille miglia dall’edizione ‘cult’ di Giorgio Strehler (tuttavia grande regista) per il Piccolo di Milano. Ho riempito Goldoni non di saltini ma di problemi reali. A Bologna, Lucio Dalla è venuto a vedermi cinque volte. È uno degli Arlecchini entrati nella storia delle messinscene italiane.
Tanto cinema, ma il cuore è nel teatro: è così ?
Non ho mai saltato una stagione teatrale in vita mia. Controllo la bestia. Il cinema non dipende da te, ma da altri : e devi aspettare un anno o due che il film esca. In teatro, da quando avevo 25 anni, son sempre stato protagonistaC. Quest’anno interpreterò Morte di un commesso viaggiatore, per la regia di Leo Moscato, una produzione di Francesca Placido. Ci metterò dentro tutto me stesso, come se il testo l’avessi scritto io. A Roma, da ragazzo, ero arrivato sapendo a memoria il monologo del figlio. Sono 2 minuti : ai provini, l’ho interpretato in cinque modi diversi. Oggi, 50 anni dopo, mi ritrovo, padre, nella stessa pièce. Un altro regalo della vita.
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