Alessandro Comodin: «Contro i luoghi comuni, il mio cinema di gruppo»
Intervista Il regista friulano racconta il suo «Gigi la legge», attualmente nelle sale grazie ad una distribuzione autonoma
Intervista Il regista friulano racconta il suo «Gigi la legge», attualmente nelle sale grazie ad una distribuzione autonoma
«È tutto un gioco di specchi. Per anni abbiamo guardato a Gigi e alla sua vita come ad una sorta di esperimento umano, ora lui guarda noi e questo strano mondo del cinema, fatto di dati cinetel, rapporti con i gestori, piccole gelosie…». Ci racconta così l’esperienza del tour di autodistribuzione Alessandro Comodin, lo raggiungiamo al telefono mentre sta accompagnando il suo Gigi la legge nelle sale d’Italia insieme al protagonista, lo zio Pier Luigi Mecchia, e il piccolo gruppo che ha curato da vicino la realizzazione.
«È lo stesso gesto di generosità che era alla base del fare il film, siamo sempre a rischio di perdere. La nostra questione è come rendere vivibile questo modo di fare, stiamo facendo molta fatica ad esistere. L’industria tende a schiacciare la diversità, nonostante i premi e il riconoscimento internazionale. Ma io non voglio cambiare il mio modo di lavorare» spiega Comodin.
Gigi la legge ha infatti vinto il Premio della giuria all’ultimo festival di Locarno e a quello di Villa Medici, è candidato al David ma rimane un’anomalia nel panorama cinematografico nazionale, «a cui non mi sento propriamente di appartenere» afferma il regista, che vive in Francia.
È un’anomalia perché pone al centro una storia periferica, ambientata in piccolo paese del Friuli, e il suo protagonista è un vigile di provincia, Gigi appunto, ritratto nella sua quotidianità lavorativa. Anomalo è poi il modo di lavorare di Comodin, «che sovverte l’organizzazione piramidale in cui il regista spiega a tutti gli altri la propria visione del mondo».
AL CENTRO infatti c’è sempre stato Gigi, una vita come tante eppure teatro di forze invisibili, incarnazione di un territorio, di una lingua, della legge persino, ma interpretati in maniera spiazzante, quasi con una saggezza ingenua. I conflitti di Gigi prendono la forma di piccoli avvenimenti: la lite con il vicino per il proprio giardino debordante – «luogo surreale e metaforico, rappresenta il rapporto di Gigi con l’alterità ed è il vero centro del film» -, un amico da portare con sofferenza al centro di salute mentale. Ma lì si esprimono questioni enormi come il perimetro incerto della natura e della legge, dell’umanità e dell’obbligo sociale.
Il regista racconta così il processo di realizzazione sui generis: «Nonostante conoscessi quei luoghi a memoria e Gigi da sempre, c’è voluto tanto lavoro per trovare la distanza giusta e non cadere nei luoghi comuni, che è la cosa più facile. Luoghi comuni che riguardano anche i modi di fare: scrivere la sceneggiatura e chiedere agli attori di interpretare. C’è stata una riorganizzazione totale del metodo, essendo Gigi il criterio non potevo imporgli alcuna ricetta. È un film vero che doveva dare una sensazione di verità, le cose false si vedono subito: abbiamo messo degli attori intorno a Gigi ma era chiaro che non avrebbe funzionato. Trovare le persone giuste quindi non è stato semplice, bisognava essere pronti a scardinare il progetto rispetto a ciò che la realtà offriva: vari personaggi si sono sdoppiati o triplicati. Quello di Paola, la collega fantasticata da Gigi, si è costruito mano mano proprio perché non c’erano nella realtà personaggi possibili».
La nostra questione è come rendere vivibile questo modo di fare, l’industria tende a schiacciare la diversità, ma io non voglio cambiare il mio modo di lavorareAlessandro Comodin
La realtà e la finzione si intersecano quindi su più piani in un territorio e una comunità che appartengono tanto al regista che al protagonista, nelle riprese durante i turni di pattuglia talvolta si sorride, c’è una chiave ironica ma mai irrispettosa, «è la nostra “tara famigliare”: quello che stiamo facendo è serissimo, ma allo stesso tempo non ci prendiamo totalmente sul serio». Sarà che ognuno di noi è chiamato a interpretare un ruolo, ma riuscire a farlo senza calarcisi completamente né abbandonandosi al cinismo, non è da tutti.
«GIGI LA LEGGE» è quindi in tour in questi giorni, e se accompagnare il film nelle sue proiezioni è una necessità data dai pochi spazi riservati al cinema indipendente e a maggior ragione “anomalo”, dall’altra si sta rivelando un’esperienza a sé, «una trasformazione del processo del film.
Sentiamo che Gigi ha questo potere “popolare” nel senso che concerne un po’ tutti quanti. Ultimamente alle presentazioni parla molto di fragilità, di accettazione, come se avesse colto un’altra dimensione di ciò che abbiamo fatto insieme. Il pubblico è colpito, c’è sempre una sorpresa, seppur microscopica».
Fuori Orario dedica la trasmissione di stanotte ad Alessandro Comodin e al suo «cinema incantato». A partire dall’1 e 40 su Rai3 una conversazione con il regista a cura di Simona Fina e Roberto Turigliatto, a seguire «I tempi felici verranno presto» del 2016, che Comodin introduce così: «Tutto ha avuto inizio dalla storia vissuta da un amico di mio nonno. Dopo quattro anni di assenza i suoi familiari lo credevano morto. La sua riapparizione aveva dunque un aspetto fantomatico». Continua intanto il tour nelle sale di «Gigi la legge», stasera regista e cast saranno a Brescia al Cinema Nuovo Eden, domani a Bellaria al Cinema Astra, poi a Rimini, a Modena, a San Vito al Tagliamento (PN) e a Genova.In tour tra la tv e gli schermi
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