Ogni indagine sul sapere si trova sottoposta a un paradosso, poiché presuppone conoscenze che, per poter includere il proprio oggetto, lo eccedano. Per divenire oggetto di critica, ogni sapere presuppone, dunque, l’esercizio di un sapere ulteriore. Il filosofo che più di ogni altro ha portato all’estremo questo paradosso, Hegel, non ha potuto che concludere il proprio itinerario sulle forme del sapere con l’idea, altrettanto paradossale, di un sapere assoluto, privo di oggetto e privo di ogni esteriorità.

Il libro di Alessandro Carrera, Sapere (Il Mulino, pp. 151, € 13,00) non ambisce a risolvere questa aporia, e nemmeno a ricostruirne i termini da un punto di vista strettamente teoretico; piuttosto, è un tentativo, quasi giocoso, di scavalcare il problema, mettendo all’opera una forma di sapere non gerarchica, basata sulle nozioni di compresenza, di transizione, di analogia. Non si andrà quindi alla ricerca di una via privilegiata, di un metodo, ma si cercherà di imparare a stare sul terreno contemporaneo, attraversato da molti odoi, da molte vie, da molti metodi. Forse anche perciò, il testo non si propone con un carattere sistematico, organico, ma piuttosto episodico, peripatetico: come una passeggiata sulle rovine di un presente privo di orientamento.

Punti ciechi
Carrera, che ha un background quanto mai variegato di scrittore, traduttore, poeta e docente di Italian Studies negli Stati Uniti, sviluppa la sua argomentazione, intrisa di autobiografia, per restituire alle aporie e ai problemi legati alla nozione di sapere una dimensione quanto mai concreta e situata. Se ogni sapere pone una gerarchia, imparare a stare tra i saperi significa imparare a tracciare punti di connessione, stabilendo equivalenze, transizioni, analogie, capaci di illuminare quei punti ciechi che ogni gerarchia porta con sé.

Ma se la ricerca del metodo viene lasciata da parte, non per questo Carrera dismette l’atteggiamento contemplativo: perché se è vero che il sapere viene pensato dall’autore come strumento operativo, atto a produrre pratiche piuttosto che concezioni esaustive, non di meno il punto di vista assunto rimane risolutamente teoretico. Il sapere viene quindi inteso come forza effettuale nella realtà, e quindi anche le ragioni della vitalità o dell’obsolescenza dei diversi saperi vengono determinate su questa base: se i più diversi paradigmi interpretativi, dal materialismo dialettico al post-strutturalismo, dalla psicoanalisi fino alla semiotica, vengono tutti riconosciuti come obsoleti, la vitalità riconosciuta al neoliberalismo e alla filosofia analitica si spiega, materialisticamente, con la loro sintonia con gli attuali rapporti produttivi. È la prossimità con il potere a conferire loro il successo anche sul piano puramente epistemologico che si manifesta in un’efficace parsimonia normativa e valutativa.

I conti con la crisi
Così, se lo sguardo della compresenza e dell’analogia permette di cogliere l’emergere di saperi nuovi a partire dall’incontro e dalla transizione tra saperi consolidati, nonché dalla collisione dei loro punti d’ombra e delle diverse temporalità in essi incorporate, Carrera constata comunque l’impossibilità di trovare «un centro, un luogo da cui esca il discorso dell’autorità assoluta». Per questo, riconoscendo come il museo della storia sia divenuto «il centro commerciale del presente», il saggio non aspira mai a storicizzare il presente o a proporne una critica. Piuttosto, come in un lucreziano naufragio con spettatore, il sapiente contemporaneo resta sulla soglia, o meglio sulle soglie, osservando la disgregazione del «sapere globalizzato». Con il pericolo di accettare come scontato il punto cieco fondamentale di ogni sapere, e cioè la distinzione tra teoria e prassi, tra vita contemplativa e vita activa.

In altre parole, assunta l’impostazione contemplativa, al riconoscimento che «la crisi attuale del sapere consiste nella totale incertezza sul potere che conferisce», non può seguire l’invito a interrogare il sapere e i saperi sulla base del potere che conferiscono e che effettivamente esercitano. Non è questa l’intenzione dell’autore, che invece invita a fare i conti con una crisi del sapere e dei saperi, per suggerirci che, forse, la soluzione potrebbe non essere quella di uscire da questa crisi attraverso un nuovo sapere assoluto, ma imparare a navigarci dentro.