Tutta l’opera di Alejandra Pizarnik può essere letta come un tentativo letterario di sottrarsi. E «sottrazione» (o ancora di più, «assenza») è una parola profondamente alejandrina (aggettivo coniato dall’autrice): a una prima lettura, la parole dei suoi scritti in prosa può apparire come costruita sul progetto di una ricerca di «spazio», sull’esigenza di abbreviare lo iato tra parole e cose, grazie soprattutto al suo attingere nel corso degli anni ad una langue ipotetica e immaginifica. Guardando al corpus della sua opera in modo unitario – Pizarnik, nata nel 1936, ha licenziato tra il 1955 e il 1971 sette raccolte di...