Alcune domande sulle rivelazioni emerse di recente
La nuova inchiesta sulla strage di Bologna L’incontro Gelli Fioravanti, i soldi, le «coperture»? Punti che restano da chiarire
La nuova inchiesta sulla strage di Bologna L’incontro Gelli Fioravanti, i soldi, le «coperture»? Punti che restano da chiarire
Da una decina di giorni giornali, siti e agenzie sono pieni di rivelazioni sui mandanti della strage di Bologna, individuati secondo la Procura generale di Bologna in Licio Gelli e Umberto Ortolani, i vertici della P2, con la complicità dell’ex capo dell’Ufficio affari riservati del Viminale Federico Umberto D’Amato e dell’allora direttore del Borghese Mario Tedeschi e sull’esecutore materiale, indicato nell’ex fascista, ex malavitoso ed ex collaboratore dei servizi segreti Paolo Bellini. Le rivelazioni provengono tutte dalla Procura generale di Bologna. Per valutarle bisognerà aspettare che l’inchiesta sia conclusa e tutti gli elementi vengano resi noti. Al momento si impongono già alcune domande.
La prima è dove sono gli elementi nuovi in base ai quali la Procura generale di Bologna, dopo aver avocato l’inchiesta, ha scelto una strada opposta a quella della Procura di Bologna, non certo tenera nei confronti dei Nar, che, sulla base degli stessi materiali, aveva chiesto l’archiviazione.
IL «PEZZO FORTE» che sarebbe emerso è il frontespizio di un prospetto economico che sarebbe stato sin qui occultato e nel quale campeggia la scritta «Bologna 525779 X.S.». Il prospetto, noto sin dal 1981, è incomprensibile e dunque insignificante: cifre in colonna di destinazione ignota. Si allude alla cifra di un milione «consegnato contanti» senza specificare se si tratti di lire o dollari. Neppure il frontespizio dice nulla. Il punto chiave è l’occultamento, che induce a sospettare la volontà di nascondere un collegamento con la strage. Solo che l’occultamento non c’è mai stato. Il frontespizio è ampiamente citato dal pm Dall’Osso nel processo per il crack Ambrosiano del 1988.
Neppure gli accrediti che tirerebbero in ballo D’Amato sono una novità. Dalle carte sequestrate a Gelli nel 1981 risultano bonifici a favore di qualcuno con nome in codice «zaf». La novità è solo nella convinzione degli inquirenti che «zaf» stia per «zafferano» e che il nome in codice rimandi a D’Amato il quale, nella rubrica di gastronomia che curava per L’Espresso, aveva in un’occasione lodato le virtù della spezia.
Niente di nuovo, dunque, e niente che non sia già stato esaminato in diversi processi. Diverso sarebbe il discorso per l’informativa Digos a proposito di un incontro tra Gelli e Fioravanti nel quale il Venerabile avrebbe consegnato al capo dei Nar un milione di dollari. Se l’incontro fosse provato, anche senza traccia del pagamento, si tratterebbe in effetti di un elemento di grossissimo calibro. Su questo fronte però dalla Procura non è stato fatto uscire niente di concreto e anche le voci raccolte sono piuttosto confuse. A volte si parla di Gelli e Fioravanti nella stessa città, ed essendo Roma non sarebbe una gran notizia, altre volte di un incontro tra Gelli e imprecisati capi fascisti, come se non ci fosse differenza tra i Nar e gli altri gruppi di destra. Vedremo.
IN OGNI CASO il solo parlare di informativa Digos impone un’altra domanda: a quando risale? Che sia arrivata con 40 anni di ritardo è poco credibile persino per la burocrazia italiana, che sia stata raccolta nel corso degli ultimi decenni senza che nessuno ne sapesse niente nonostante una decina di processi sulla strage è altrettanto improbabile.
Peraltro non ci capisce bene perché, con le spalle coperte da una spia potente come D’Amato, Fioravanti si sia rivolto per trovare documenti falsi, come da tesi centrale dell’accusa nei processi per la strage, a un balordo di piccolo calibro e di nessuna affidabilità come Massimo Sparti. Non è neppure chiaro perché, con il milione di dollari di Gelli a gonfiargli le tasche, si sia dedicato già a partire dal 5 agosto 1980 a nuove rapine. Chissà. Forse un diabolico depistaggio…
Su Paolo Bellini, figura torbidissima, le domande sarebbero un elenco. Una su tutte: nei numerosi processi contro i Nar e per la strage compaiono più o meno di sfuggita tutti i nomi del neofascismo radicale di allora. Bellini no. Non lo nomina mai nessuno dei molti pentiti. Non lo conosce nessuno. Sarebbe interessante sapere se la Procura generale ha qualche elemento per ipotizzare un suo rapporto con i Nar o se, come molto sembra indicare, ha tirato a indovinare.
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