Alba de Céspedes, quella relazione per scoprire il mondo
Vi è una particolare capacità di interlocuzione con la tradizione letteraria che le scrittrici italiane nel corso del tempo hanno esercitato, in particolare nella forma del narrar breve: definizione sotto cui si collocano scritti diversi, che vanno dai racconti alle prose giornalistiche, fino ad arrivare a forme saggistiche essenziali e perciò tanto più folgoranti, come nel caso di Anna Maria Ortese. Tutte, scrittrici e testi, accomunate dalla singolarità dell’esperienza di ognuna, dalla originalità della loro espressività letteraria, scarsamente compresa e quindi tanto meno apprezzata dalla critica, nonostante la forma breve sia attualmente sotto i riflettori della critica letteraria proprio per la sua aderenza alla contemporaneità. E nonostante il posizionamento interlocutorio nei confronti di una tradizione letteraria precedente come mostrano i racconti di Alba de Céspedes, curiosamente non opzionati per la riedizione da Mondadori, impegnata nella riproposizione di tutte le opere della scrittrice tranne che per i racconti, riproposti invece da una casa editrice piccola ma capace di guardare con attenzione non superficiale alle scrittrici italiane quale si configura la romana Cliquot, che ha osato la nuova edizione di raccolte ormai scomparse dalle librerie e non più rintracciabili, neanche in quelle antiquarie.
RACCOLTE IMPORTANTI e preziose per la capacità che mostrano ognuna di tratteggiare le varie fasi del vivere di donne e uomini dall’infanzia all’età avanzata, tessere di mosaici di cui ogni protagonista, ogni personaggia e personaggio costituiscono sguardo intenso che dipana ombre e luci a partire da quel singolo istante, da quella precisa e fine capacità di racconto che si ha fin dalla raccolta di esordio di de Céspedes, L’anima degli altri del 1935, riproposta nel 2022 da Cliquot con una prefazione di Loredana Lipperini, a Invito a pranzo, del 1955, in questi giorni in libreria con introduzione di Nadia Terranova (pp. 304, euro 20).
La costellazione dei racconti a firma di scrittrici e ovviamente non solo italiane – il riferimento fra tutti è ai racconti di Virginia Woolf e di Katherine Mansfield – è infatti di notevole spessore e ha molte volute, fin dalle antesignane Deledda e Serao: ad essa Alba de Céspedes, insieme a Anna Banti, Elsa Morante, Gianna Manzini, Maria Bellonci e molte molte altre, dà un contributo di notevole rilievo, anche per la sua capacità di interlocuzione evidente con i racconti di scrittori coevi o di poco precedenti.
Infatti, evidente fin dai racconti incipitari di entrambe le raccolte, e quindi così scelti nella loro architettura compositiva dalla scrittrice, lo sguardo attento alle opere di scrittori come Pirandello e la variazione se vogliamo anche parodica dei pirandelliani Colloqui con i personaggi, preludio nel 1915 dei Sei personaggi in cerca d’autore: ricordiamo tutti i racconti pirandelliani in cui i personaggi insistono per avere vita propria ed essere accolti nelle novelle dell’autore, presenti anche nei programmi scolastici delle superiori.
Nel racconto decespediano che apre L’anima degli altri, intitolato Un ladro, uno scrittore famoso riceve la visita di un uomo che si è riconosciuto nel protagonista di un romanzo a puntate pubblicato su di un quotidiano e che per questo motivo lo scongiura di cambiare la fine del suo romanzo ancora in corso di pubblicazione, per non costringerlo a diventare un ladro come invece la storia fa presupporre. Lo scrittore non prenderà sul serio la richiesta del suo lettore e quando quest’ultimo verrà arrestato per furto egli stesso si sentirà colpevole. Difficile dire chi sia ladro in questo racconto, se il lettore o lo scrittore e la questione per alcuni versi è surreale, come nota Loredana Lipperini nell’introduzione. Non a caso Gabriele Pedullà ha posto i pirandelliani Colloqui con i personaggi nell’onda lunga del fantastico otto-novecentesco, ma nel caso di de Céspedes è interessante l’accento sulla responsabilità di chi scrive e della relazione con chi legge: de Céspedes riprende sì un tema pirandelliano, ovvero quello dall’autonomia della letteratura e dei suoi personaggi anche in relazione all’autorialità – la morte dell’autore, barthesianamente parlando –, ma opzionandolo sulla relazione non poi così solitaria e geniale dell’autore con i suoi personaggi e soprattutto con lettori e lettrici.
FACENDO PERNO così sull’importanza e la centralità della lettrice di cui la scrittrice è stata sempre consapevole, anticipando quanto poi la critica letteraria femminista secondo novecentesca ha messo in rilievo e sottolineato a più riprese – fra tutti a titolo esemplificativo gli studi di Anna Santoro – e che arriva fino alla centralità relazionale così spesso evidenziata dalla Elena Ferrante de La frantumaglia, nelle sue numerose riedizioni e aggiornamenti.
Con medesima postura il racconto d’inizio della raccolta Invito a pranzo, intitolato La sposa, interloquisce in modo sapiente con un racconto di Beppe Fenoglio, Ferragosto, pubblicato anch’esso nel 1955. In entrambi i racconti vi sono una donna e un uomo che si recano, dalla città in cui si sono incontrati, al paese di provenienza dell’uomo: in quello di Fenoglio, vi è solo il fratello di lui nella casa di famiglia di cui vorrebbe la sua parte e il fratello gli ha già detto che non vuole la donna nella sua casa, perché prima è stata una prostituta. Il racconto si conclude in modo tragico e la costruzione, magistrale, di Fenoglio, a quello tende in forma di precipitato drammatico.
Nel racconto di Alba de Céspedes la casa di famiglia in cui entra la sposa ha molti fratelli e un padre, che muore nella notte stessa del loro ritorno: il racconto descrive con cura attenta il senso di solitudine e isolamento della donna in una famiglia di uomini in cui solo il padre sembrava averla accolta pure se in modo misurato, ma la cui morte le restituisce l’estraneità a un mondo maschile a cui anche il marito, ormai tornato a casa, appartiene interamente, apparendole altro e alieno da sé. Diversamente da Fenoglio il racconto di de Céspedes, però si conclude con una nascita, con un corpo «ricco di carne» che rende la sposa protagonista forte di sé e del suo sentire e così anche gli altri racconti della raccolta tessono forza femminile fatta di parole, relazioni e corpi, come ricordato nella introduzione da Nadia Terranova.
SE I RACCONTI di Invito a pranzo, che costituiscono ripresa e variazione matura a livello narrativo di un mondo che le donne abitano con una forza maggiore, va detto, delle protagoniste dei racconti d’esordio, avrebbero potuto essere raccolti in un unico volume insieme a quelli di Fuga, del 1940, occorre però ritagliare uno spazio a sé per il romanzo breve o altrimenti racconto lungo Prima e dopo, pubblicato nel 1955, lo stesso anno della raccolta Invito a pranzo, e riedito sempre da Cliquot nel 2023.
Protagonista e voce narrante Irene, una donna di trentacinque anni, che grazie alla relazione con Erminia, la giovane donna che assume per occuparsi della sua casa di donna che lavora come giornalista tutto il giorno, si interroga su che cosa significhi essere emancipata nell’Italia del dopoguerra e quale il sogno di felicità che ha spinto lei e molti come lei, tra cui il suo compagno Pietro, a vivere vite che confidano nel cambiamento e nella rivoluzione anche nei rapporti tra donne e uomini. Breve ma non per questo meno intenso, anzi: sia per la messa in rilievo dei molti e complessi aspetti della relazione di cura che intercorre tra la donna datrice di lavoro e chi svolge il lavoro domestico, su cui ha scritto Laura Marzi un bel libro dedicato a Raccontare la cura (Futura editrice); sia per la riflessione che de Céspedes ha modo di mettere a fuoco sui dieci anni seguiti alla fine della guerra e un noi collettivo deluso da quanto la resistenza aveva promesso e che sarà poi argomento del successivo romanzo Il rimorso del 1963: incompreso dalla critica e dal pubblico, fu motivo di grande delusione per la scrittrice al punto di lasciare l’Italia per Parigi, dove poi incontrò con sua grande gioia le ragazze del maggio francese. La riflessione su quel noi collettivo che anticipa e prefigura come solo la letteratura sa fare la difficile vita oggi di un noi collettivo meritava un posto a sé, che giustamente Cliquot le ha restituito.
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