Alain Delon, la prima notte di quiete di un divo in chiaroscuro
Alain Delon ha salutato tutti. Anzi no, non ha salutato, se n’è andato, lasciandosi alle spalle polemiche famigliari. Che riguardano solo i suoi congiunti. Diverso potrebbe essere il discorso per le sue affermazioni nel corso degli anni. Provocatore, reazionario, omofobo, violento, lepeniano. Uomo che ha sempre negato anche malamente di essere padre di Ari Boulogne, figlio avuto dalla cantante Nico morta precocemente, da lui mai riconosciuto, seppure adottato dalla madre di Alain e morto precocemente di overdose. Chi più ne ha più ne metta, compreso il dover testimoniare per la morte violenta di un suo collaboratore. Delon quindi da un punto di vista personale è stato ben più che criticabile. Ma quel che conta non sono le sue prese di posizione, le sue affermazioni, le sue querelle anche giudiziarie, la storia abbonda di artisti dalla condotta discutibile o peggio, quel che conta sono le emozioni che un artista sa dare al pubblico. E Delon ne ha date tante.
E PENSARE che ragazzino vorrebbe fare il salumiere come il patrigno, visto che mamma, abbandonata da papà Delon quando il piccolo ha quattro anni, ha trovato un nuovo compagno, mastro salumiere. Alain ama affermare che il suo spirito ribelle traeva origine da quel precoce trauma famigliare dell’abbandono e della separazione. Chissà? Resta il fatto che il giovane Alain è davvero ribelle. Una volta capito che non sarebbe stato al bancone della charcuterie si arruola diciottenne in marina. E sono tempi problematici, perché siamo nel 1953 e Alain viene inviato in Indocina. Dopo tre anni ne esce vivo ma con qualche ulteriore cicatrice nell’anima, visto che sommando le punizioni per indisciplina ha trascorso ben 11 mesi in carcere prima di essere cacciato non proprio con encomio. E allora eccolo a Parigi, ventunenne, senza arte né parte, campa a Montmartre di espedienti e lavoretti. Sino a quando Jean Claude Brialy divenuto suo amico lo porta al festival di Cannes. Inutile dire che Alain folgora tutti con la sua bellezza. Si parla anche di Hollywood, ma dovrebbe imparare l’inglese. L’indisciplina vince. Ma arriva il debutto con Ives Allegret in Godot (1957). L’anno successivo è più importante perché sua partner in L’amante pura è un’attrice dalla bellezza non meno straordinaria, Romy Schneider.
Tra i due è passione. Durerà qualche anno riempiendo migliaia di pagine di rotocalchi. Per Delon arriva Delitto in pieno sole di René Clement, importante perché si tratta della prima trasposizione dell’eroe-criminale creato da Patricia Highsmith: Tom Ripley. Il critico statunitense Roger Ebert ha così definito lo stile interpretativo di Delon, «era così eccessivamente bello che la migliore strategia per compensare il suo aspetto era di usare una faccia da poker».
MA STA PER ARRIVARE la consacrazione definitiva. Luchino Visconti lo trascina a Milano per interpretare Rocco e i suoi fratelli. Naturalmente Alain è Rocco, immigrato lucano con povertà e famiglia appresso, e tragedia in agguato. Tratto da Testori, Rocco è pugile dilettante che spera di svoltare, uno dei pochi personaggi «buoni» che gli capita di interpretare. Con Visconti, notoriamente omosessuale, quindi da capire come Delon abbia vissuto questa vicenda, si instaura un rapporto proficuo che li porta a teatro a Parigi e poi di nuovo sul set insieme per il grandioso affresco de Il gattopardo, trionfo planetario. Sarà lo stesso Delon a riconoscere anni dopo che lui non sarebbe mai diventato quel che è effettivamente diventato senza il contributo decisivo di Luchino Visconti. Parentesi italiana che comprende anche L’eclisse di Antonioni.
QUANDO TORNA a lavorare in Francia non è più un interprete, neppure un attore, ormai è un divo, il suo sodalizio con Jean Pierre Melville cesella Frank Costello faccia d’angelo e I senza nome, ma anche Jacques Deray lo esalta in La piscina dove ritrova Romy Schneider che lui ha imposto su Monica Vitti e Borsalino accanto al rivale Jean Paul Belmondo con esiti trionfali al botteghino. E trova modo di essere protagonista anche in un paio di titolo di Joseph Losey, Mr. Klein e L’assassinio di Trotsky dove interpreta Ramón Mercader, l’assassino del leader sovietico, cognato di Vittorio De Sica nella vita reale perché fratello di Maria Mercader. Un’altra interessante parentesi italiana è La prima notte di quiete di Valerio Zurlini. Anche perché esula dai ruoli di canaglia, più o meno simpatica, che ormai gli sono rimasti appiccicati addosso. Da tempo non è più apparso su grande schermo e da ancor più tempo il successo lo aveva dimenticato. Almeno come attore, se non con premi alla carriera, a Berlino 1995, a Locarno 2012 ricevuto sarcasticamente parlando dalla tomba e Cannes 2019 tra le lacrime di quegli occhi un tempo dallo sguardo insostenibile e intenso ora invece segnato dagli anni, dalla vita e dalla malattia.
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