Venerdì scorso Anthony Ray Hinton ha visto la luce del sole per la prima volta dopo aver passato quasi metà della propria vita in attesa di esecuzione in una cella solitaria di due metri per tre nel braccio della morte del penitenziario di Birminhgham, in Alabama.

Il cinquantottenne Hinton era stato condannato a morte nel 1985 per un duplice omicidio, in assenza di testimoni e di prove a parte la perizia balistica che aveva collegato proiettili rinvenuti sul luogo dei delitti ad una arma di proprietà di sua madre. Durante il processo la difesa d’ufficio aveva ingaggiato un unico perito comunale, cieco da un occhio, aveva ammesso di non saper usare il microscopio.

L’esonero di Hinton è avvenuta dopo che la equal justice intitative, una associazione di avvocati volontari di Montgomery, Alabama che per 16 anni si è interessata al caso, è riuscita a riaprire la pratica e ottenere un nuovo processo in cui le prove sono subito risultate palesemente insufficienti inducendo la procura dello stato ad ammettere l’innocenza del condannato.

Hinton è così diventato l’ottavo condannato a morte dal 1978 esonerato in Alabama, uno degli stati più solerti in materia di esecuzioni. La pena di morte è stata brevemente dichiarata incostituzionale negli Stati uniti dal 1972-1976. Da allora nei 32 stati che sono tornati ad applicarla (più lo stato federale e le forze armate) sono state messe a morte 1277 persone, 80% delle quali negli stati ex schiavisti del sud e, forse non del tutto casualmente, dei 3251 prigionieri attualmente in attesa di esecuzione oltre la metà sono ispanici e neri – questi ultimi che rappresentano il 13% della popolazione generale costituiscono il 42% dei condannati a morte.

Ancora più gravemente, dal 1976 ad oggi sono stati esonerati 141 condannati a morte in seguito ad indagini che ne hanno accertato l’innocenza successivamente alla sentenza. Rimane ignoto il numero di innocenti che negli ultimi 40 anni sono andati al patibolo, anche se l’ampia casistica di errori giudiziari più o meno pilotati nella giustizia americana, specie a carico di imputati di colore, permette di stimarne uno sciaguratamente consistente, basti considerare l’agghiacciante statistica che vede un esonerato per ogni nove giustiziati. Dal 2000-2007 le esonerazioni in America sono state dell’ordine di 5 in media ogni anno.

A nome di tutti loro e rivolto a «coloro che tanto hanno fatto per porre fine alla mia vita», circondato dai famigliari commossi all’uscita del carcere, Vinton ha detto «dovrete rendere conto davanti a dio». Sottolineando come la sua falsa condanna abbia costituito una ingiustizia anche per le famiglie delle vittime. A suo fianco il direttore della equal justice intitiative Bryan Stevenson ha definito l’occasione «lieta quanto tragica» dato che la vicenda conferma l’iniquità del sistema. «A Vinton è stata sottratta la vita per un esistenza in una cella d’isolamento durante la quale lo stato ha cercato ogni giorno di ucciderlo».

Vinton che in tutta probabilità non riceverà ora molto indennizzo al di la delle scuse del tribunale, si aggiunge alla lunga lista di casi analoghi che hanno trovato una misura di seppur tardivo «lieto» fine grazie all’opera di associazioni volontarie come la Eji o l’Innocence Project che lavora per esonerare detenuti ingiustamente condannati a morte utilizzando test del Dna (spesso contro le forti resistenze dei sistemi giudiziari).

Una litania di tragici «errori», spesso a sfondo politico: da Sacco e Vanzetti perdonati dal goveratore Dukakais nel cinquantenario dell’esecuzione al pugile Rubin Carter reso celebre dalla ballata di Bob Dylan alla pantera nera Geronimo Pratt falsamente condannato e rialsciato dopo 27 anni di galera per poi morire tre anni dopo di cancro. Tutti «effetti collaterali» di un giustizialismo senza limiti che dal 1972 ad oggi ha creato un gulag che da 300.000 detenuti è giunto a imprigionare 2,3 milioni di persone. Malgrado questa «onta morale» (parole del ministro Eric Holder), seppure in declino, una maggioranza di Americani – oggi il 61% – si dice ancora favorevole alla pena di morte. E molti ancora, patiscono dietro le sbarre.