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Al Sini, i cinesi d’Egitto

Al Sini, i cinesi d’Egitto – Reuters

Sono 2000 i cinesi musulmani che si trasferiscono al Cairo per studiare l'arabo e avere una formazione religiosa. E uno dei loro punti di ritrovo più graditi sono i ristoranti cinesi

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 25 novembre 2013
Laura CapponIl Cairo

Il quartiere di Abbasseya è una zona residenziale al confine con la parte più antica del Cairo. In una strada laterale che si affaccia sulla grande arteria a quattro corsie che collega il quartiere al centro della città, sorge il dormitorio di Al Azhar, lo studentato dell’università della massima autorità sunnita del mondo musulmano. Un edificio grigio in stile sovietico che ha contraddistinto le grandi costruzionei egiziane nei decenni scorsi. Ma mentre si passeggia per le strade attorno al dormitorio i volti delle persone improvvisamente cambiano e oltre alle consuete famigile e gruppi di giovani egiziani, nella zona è molto facile incontrare giovani asiatici. Sono gli studenti di religione musulmana che ogni anno arrivano numerosi dal continente asiatico.

Circa 2000 sono i cinesi musulmani che si trasferiscono al Cairo per studiare l’arabo e avere una formazione religiosa. E uno dei loro punti di ritrovo più graditi sono i ristoranti cinesi che sorgono a pochi metri dal dormitorio. China streets è grande alcune decine di metri quadrati, sedie spartane e un menu platstificato con le foto delle pietanze e il prezzo scritto con un pennarello. Il ristorante è il più recente ripetto agli altri due presenti nella zona. Ad aprirlo, sei mesi fa, sono stati proprio due ex studenti dell’università di al Azhar. Bilal ha 23 anni ed è il fratello di uno dei proprietari. Parla l’arabo classico, la fusha, la lingua del Corano, ben diversa dal dialetto egiziano. «Sono arrivato 6 mesi fa a studiare, ho seguito mio fratello, anche io volevo imparare l’arabo e il Cairo è la capitale del mondo arabo. È il posto giusto».

Bilal arriva da una piccola cittadina nel sud della Cina. «Facciamo parte di una minoranza ma nel mio governatorato siamo abbastanza liberi di professare la nostra religione». La sua prima impressione con l’Egitto è stata positiva anche se un po’ deludente. «Non mi aspettavo una città così caotica e poco curata, per noi Il Cairo è una sorta di mito. Molti miei amici vogliono venire qua perché è la meta per eccellenza per noi musulmani e le nostre famiglie sono orgogliose di avere dei figli che studiano qui». Il caos è il traffico non sono l’unica sfida da affrontare per i giovani cinesi che decidono di venire a studiare nella capitale egiziana.

«Gli egiziani parlano sempre a voce alta, noi invece siamo molto riservati – spiega Bobenju – all’inizio mi sentivo osservato per strada mi chiamavano al Sini (in arabo significa il cinese). Poi però sia gli studenti sia i professori mi hanno aiutato a capire le lezioni e a fare le pratiche burocratiche dell’università».
Bobenju – ma in Egitto tutto lo chiamano con il suo nome da musulmano, Hasan – è un cliente abituale di un altro ristorante cinese a pochi metri da China street. Ha 28 anni e 5 anni fa è arrivato al Cairo per studiare al dipartimento di letteratura araba. La sua famiglia vive al confine con la provincia del Xinjiang, area a maggioranza musulmana e di etnia turcofona differente dal gruppo maggioritario degli Han. Una provincia in conflitto con il governo centrale cinese per le sue mire indipendentiste.

«La condizione dei musulmani in Cina dipende dal governatorato in cui si vive – racconta Bobenju – nel caso dello Xinjiang, i loro problemi con il governo sono più legati alle loro rivendicazioni separatiste che alla loro religione».
L’instabilità politica egiziana non sembra scoraggiare gli studenti cinesi a lasciare l’Egitto. «In Cina sono preoccupati ma io rassicuro sempre la mia famiglia che evitando le manifestazioni si sta al sicuro» dice Bin, studente di Pechino che tra poco prenderà la laurea al dipartimento di lingua araba ad Al Azhar.

Dopo la deposizione di Moahammed Morsi e il sanguinoso sgombero di Rabaa el Adaweya la scorsa estate, le proteste dei sostenitori del deposto presidente continuano anche al campus universitario della massima autorità sunnita.
Lo scorso 21 novembre 38 studenti di Al Azhar sono stati condannati a un anno e mezzo di carcere per incitamento alla violenza.
«La situazione politica in Egitto è assurda, a differenza della Cina sono un unico popolo, quasi tutti professano la stessa religione, che siano così divisi è incomprensibile», dice Bin.

Bilal ha visto diverse volte i presidi mentre si recava a lezione: «Non ho mai preso parte ma è comprensibile che ci siano persone che partecipano per difendere le loro idee».

Bin ha anche vissuto i giorni della rivoluzione nel 2011 e sottolinea il disincanto dei suoi amici egiziani di fronte all’evoluzione politica degli ultimi due anni e mezzo.
«C’era da aspettarselo che la rivoluzione non si potesse realizzare in così poco tempo, I miei amici egiziani continuano a parlare di giustizia sociale, di libertà ma sembra che l’Egitto debba ancora aspettare».

Nonostante le enormi differenze tra la Cina e l’Egitto, molti studenti sembrano determinati a restare. Bilal spera di poter trovare un posto di lavoro al Cairo. «Ormai sono abitutato ai ritmi di questa città, dopo le olimpiadi Pechino è diventata invivibile».
Ma se gli studenti cinesi di Al Azhar sono a loro agio per le caotiche e polverose strade cairote, c’è una cosa a cui non sembrano disposti a rinunciare. «I ristoranti cinesi di Abbasseya più che un luogo di ritrovo sono una necessità – dice Bilal – avete mai provato a mangiare tutti i giorni cibo egiziano? Io stavo sempre male».

 

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