C’è un terzo covo a Campobello di Mazara, dove gli inquirenti sono sicuri si sia rifugiato Matteo Messina denaro. Dista meno di 500 metri dal primo, quello in via Cb31. Quando i Ris dei carabinieri ieri sono entrati nell’abitazione, in via San Giovanni, l’hanno trovato vuota. I reparti speciali la stanno setacciando con i georadar alla ricerca di eventuali bunker segreti, come quello scoperto nel secondo covo di via Maggiore Toselli, dove sono stati rinvenuti gioielli e pietre preziose. Si trovano tutti a pochi minuti a piedi l’uno dall’altro, ora il sospetto è che il latitante abbia avuto la disponibilità di altri immobili. Gli inquirenti non mollano l’assedio nel paese, in provincia di Trapani. Oltre ai Ros, ai Ris e al Gico della guardia di finanza, ieri sono entrati in azioni anche gli uomini dello squadrone dei ‘cacciatori di Sicilia’, specializzati in perquisizioni e ricerche di rifugi.

Il pm Paolo Guido, che coordina l’indagine assieme al procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia, tiene gli investigatori sul pezzo. Tra le carte recuperate nel primo covo è spuntato una sorta di libro mastro, un taccuino dove Messina Denaro ha appuntato nomi, numeri telefonici e cifre contabili. Gli esperti li stanno valutando, probabile che questa mole di informazioni possa dare ulteriore impulso all’indagine. Sotto sequestro, oltre ai tre immobili, è finita anche la casa di proprietà della mamma di Andrea Bonafede, l’alias utilizzato dal boss durante la sua latitanza.

L’appartamento si trova all’angolo tra la via Marsala e la via Cusmano, sempre a Campobello di Mazara. E’ al piano terreno, ha due ingressi. Da tempo però la casa è disabitata. La mamma di Bonafede vive a Tre Fontane, insieme a una delle sue figlie. Anche qui qui si stanno facendo indagini approfondite. L’attenzione degli investigatori è concentrata su chi ha contribuito alla latitanza del boss che, almeno negli ultimi sei mesi, avrebbe vissuto a Campobello di Mazara.

L’attesa febbrile, che ha tenuto molti col fiato sospeso ieri mattina, di vedere per la prima volta Messina Denaro comparire in un processo è sfumata perché il capomafia ha rinunciato a essere presente in videoconferenza dal carcere de L’Aquila, dove si trova detenuto, con l’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta, dove si sta svolgendo il processo in cui è imputato come mandante delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Il boss avrebbe rinunciato a causa della sua prima seduta di chemioterapia a cui sarebbe stato sottoposto all’interno dell’istituto penitenziario, in un’apposita stanza non molto distante dalla sua.

Al momento non c’è certezza su quali saranno le intenzioni del boss di Cosa Nostra in merito all’eventuale sua partecipazione al processo. L’udienza è stata rinviata al 9 marzo “per consentire al difensore di essere presente”, ha detto in aula il presidente della Corte d’Assise di Caltanissetta, Maria Carmela Giannazzo. Uno dei due legali d’ufficio, l’avvocato Salvatore Baglio, ha comunicato di avere ricevuto una delega orale dal difensore di fiducia nominato da Messina Denaro, la nipote Lorenza Guttadauro, e ha chiesto i termini a difesa. “Che collabori lo speriamo tutti, ma nessuno di noi può saperlo. E’ depositario di conoscenze sulla stagione stragista del ’92 e ’94 ancora oggi non sondate e sconosciute da altri collaboratori – ha detto il procuratore generale di Caltanissetta, Antonino Patti, al termine dell’udienza – Il livello di conoscenza di Messina Denaro per il rapporto stretto con Riina era probabilmente superiore a tutto quello che ci hanno raccontato i collaboratori fino ad oggi. E’ uno dei mandanti delle stragi del ’92 ma anche uno di quelli che già nella fase iniziale aveva messo mano a questo progetto con la missione romana del ’92 dove addirittura è protagonista materiale di quella missione insieme a Graviano e agli altri. L’arresto è un momento che abbiamo accolto con soddisfazione. E’ il coronamento di sforzi che l’autorità giudiziaria palermitana e le forze dell’ordine hanno per decenni dedicato e le circostanze dell’arresto possono sembrare banali ma dietro c’è un lavoro e una professionalità che secondo me non devono essere minimamente messe in discussione con discorsi dietrologici che lasciano il tempo che trovano”.

Intanto il gip Fabio Pilato ha convalidato l’arresto in flagranza di Giovanni Luppino, l’autista che ha accompagnato Messina Denaro alla clinica ‘La Maddalena’ di Palermo il giorno dell’arresto del capomafia. Il giudice si è riservato di decidere sulla richiesta di custodia cautelare in carcere. Luppino risponde di procurata inosservanza della pena e favoreggiamento aggravati dal metodo mafioso. Assistito dal suo legale Giuseppe Ferro, davanti al gip si è difeso sostenendo di non sapere che l’uomo che stava accompagnando fosse il super latitante.

Il commerciante di olive ha spiegato di averlo conosciuto qualche mese fa e che gli era stato presentato, con il nome di “Francesco”, come il cognato di Andrea Bonafede, il geometra al quale era intestata la falsa carta d’identità utilizzata dal super latitante. Luppino ha aggiunto di averlo accompagnato lunedì scorso per la prima volta a Palermo, dove il boss doveva sottoporsi a un ciclo di chemioterapia, perché gli era stata chiesta questa cortesia proprio a causa delle sue condizioni di salute. “Nessun elemento può allo stato consentire di ritenere che una figura che è letteralmente riuscita a trascorrere indisturbata circa 30 anni di latitanza, si sia attorniata di figure inconsapevoli dei compiti svolti e dei connessi rischi, ed anzi, l’incredibile durata di questa latitanza milita in senso decisamente opposto, conducendo a ritenere che proprio l’estrema fiducia e il legame saldato con le figure dei suoi stessi fiancheggiatori abbia in qualche modo contribuito alla procrastinazione del tempo della sua cattura che, altrimenti, sarebbe potuta effettivamente intervenire anche in tempi più risalenti” è una delle considerazioni della richiesta di custodia cautelare in carcere fatta dalla Procura di Palermo a carico di Luppino.