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Al Pd serve un Congresso per essere davvero «discontinui»

Partito Democratico Penso che avesse ragione Zingaretti, una volta aperta la crisi, nel proporre come soluzione il ricorso al voto anticipato. Per una ragione esattamente opposta a quella di Salvini: la qualità […]

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 20 settembre 2019

Penso che avesse ragione Zingaretti, una volta aperta la crisi, nel proporre come soluzione il ricorso al voto anticipato. Per una ragione esattamente opposta a quella di Salvini: la qualità e il valore della democrazia da una parte, la scorciatoia autoritaria dall’altra; riportare al centro della politica italiana la partecipazione consapevole dei cittadini in luogo dell’uomo solo al comando che evoca i pieni poteri. Rischi? Si, e alti. Ma questa è la posta della sfida ormai, in Italia e in tanta parte dell’Europa; sottrarsi, o rinviare, in nome di una continua emergenza, conduce ad una progressiva subalternità. La sfida politica va invece affrontata a viso aperto, nel momento giusto: e questo, dinanzi al fallimento dell’alleanza giallo-verde, lo era.

Naturalmente il Pd avrebbe dovuto, e potuto, giungerci in altre condizioni da quelle in cui oggi si trova: con una seria analisi delle ragioni di una sconfitta così pesante, come quella delle elezioni politiche dello scorso anno; con la riorganizzazione di un campo di forze finalmente aperto e plurale. E con un grado di coesione e unità capace di riattivare partecipazione e presenza attiva nel paese, sottoposto nel frattempo all’insidioso e sconclusionato esperimento, carico insieme d’improvvisazione istituzionale e di rancore sociale, del «contratto di governo».

Ma ancora una volta il Pd ha dissipato il tempo, giocando quello dell’attesa e della disputa interna, piuttosto che della messa a tema del suo rapporto con la parte di società che intende rappresentare. Malgrado ciò, la precipitazione della crisi rappresentava lo stesso un’opportunità, e occorreva coglierla, ponendosi all’altezza della sfida. Chiamando i cittadini italiani a ridare senso e forza alla democrazia, come l’unico possibile terreno su cui attuare quel «cambiamento» tanto evocato e mai praticato dalle forze politiche del primo governo Conte.

Per fare questo il Pd avrebbe potuto «mettersi a disposizione» delle forze sane del paese, politicamente disperse nel corso di questi anni, ma presenti e vive, attive, come vediamo quando usciamo dal ristretto perimetro della contesa politica e guardiamo a quel che si rimuove nella società. E giocare così la partita. Senza questa fiducia, senza questa convinzione, senza questa mossa, come si può pensare di invertire la rotta? Ha invece prevalso una diversa logica, che considero difensiva, e riduttiva, ma che in ogni caso andrà valutata alla dura prova dei fatti dei prossimi mesi, senza pregiudizi. E c’è da dire che il governo parte con alcune potenzialità, sul terreno economico-sociale e nelle relazioni politiche con le istituzioni europee: se saprà farle valere ne verrà senz’altro un bene per il Paese.

Percorrendo una strada che non era quella sua iniziale Zingaretti, occorre dire, ha svolto un ruolo utile di mediazione politica di cui quel partito, per come è nato e per come è attualmente composto, ha bisogno, se vuole riproporsi come soggetto aggregante di un’alternativa. Utile per il modo con cui ha tenuto conto e si è fatto carico di posizioni differenti dalla sua, all’interno del Pd e più ancora di forze e soggetti attorno ad esso che hanno premuto per una soluzione della crisi che scongiurasse il voto, giungendo ad una sintesi che, nelle condizioni date, non era affatto scontata. Ma ora tocca proprio a lui, tanto più dopo la scelta di non entrare nella compagine di governo, di riposizionare il partito sul terreno della sfida, senza rinvii o attese.

La strada è quella di un congresso finalmente capace di porre assai presto il Pd in discontinuità, rispetto al passato, sul terreno delle politiche sociali e ambientali in primo luogo. Ma è un terreno che, proprio per contrastare e vincere il sovranismo, esige una soggettività politica europea della sinistra, transnazionale, e qui il Pd deve porre la propria ambizione. Senza questo passaggio, urgente, discriminante, i fantasmi di una destra autoritaria e xenofoba, messa al momento all’angolo più dalla propria insipienza e bramosia di potere che da una reazione democratica e
popolare, torneranno a farsi rivedere.

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