Al Pd la regia per resuscitare il governo. Letta: «Abbiamo cinque giorni»
Politica

Al Pd la regia per resuscitare il governo. Letta: «Abbiamo cinque giorni»

I dem lavorano con Di Maio e Giorgetti per salvare l'esecutivo. Salvini evoca le urne, ma a bassa voce. Riprende il pressing sui 5 stelle. Berlusconi pronto a tutte le soluzioni
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 15 luglio 2022

Ancora una volta tocca al Pd la regia della tela per salvare il governo. In attesa che Draghi il 20 luglio atterri alle Camere, Enrico Letta si è già messo in moto coi suoi ministro per spingere Draghi a quello che Orlando ha definito «ripensamento». #cinque giorni è l’hashtag lanciato da Letta, quasi una citazione del celebre motivo di Michele Zarrillo. Solo che lui Draghi non vuole perderlo. «Cinque giorni per lavorare affinché il Parlamento confermi la fiducia al governo Draghi e l’Italia esca il più rapidamente possibile dal drammatico avvitamento nel quale sta entrando», la linea del leader Pd che è sempre rimasto in contatto con palazzo Chigi e col Quirinale.

Letta è in contatto anche con i partner europei, e resta molto sensibile agli umori di Bruxelles, a quelle «fortissime spinte» per lasciare Super Mario al suo posto. Le dimissioni del premier per lui non sono state un fulmine a ciel sereno. Si aspettava che il banchiere, poco avvezzo ai giochi di palazzo, reagisse duramente. Ma non è ancora finita. Franceschini è ancora più chiaro: «Mercoledì sarà la giornata decisiva, non oggi. In Parlamento, alla luce del sole, tutte le forze politiche dovranno dire agli italiani cosa intendono fare». Così anche Guerini, in viaggio negli Usa»: «Mercoledì tutti dicano cosa vogliono fare. Con la responsabilità che questo momento richiede».

«In Parlamento diremo che il governo Draghi sta facendo bene e deve continuare», prosegue Letta. Con una precisazione: «Deve continuare con questo formato e in questo perimetro». Altrimenti si va davvero a votare in autunno. Un messaggio chiarissimo rivolto ai teorici del Draghi Bis senza M5S, e cioè Renzi e Berlusconi. E forse anche Di Maio, la cui scissione visti i risultati appare come quello che è: una mossa che ha contribuito a logorare la maggioranza, altro che stabilità. E tuttavia Di Maio, anche per paura di un voto che lo coglierebbe impreparato, è certamente un interlocutore privilegiato per tentare di resuscitare il governo Draghi. E non a caso ieri sera ha rivolto un «appello di maturità a tutte le forze politiche, anche al partito di Conte».

Così come lo è Giancarlo Giorgetti, unico leghista che non pronuncia la parola «elezioni anticipate», anzi da tifoso di calcio spera nei «tempi supplementari». Della partita sono anche i ministri forzisti Gelmini e Brunetta, e il governatore veneto Zaia.
Salvini non ha ancora deciso cosa fare: lascia filtrare concetti come «nessuno deve avere paura di restituire la parola agli italiani», ma si guarda dal chiedere il voto a reti unificate. Sa di dover fare asse con Berlusconi, anche in vista di una possibile lista in tandem per tentare di superare Meloni e prenotare palazzo Chigi. E il Cavaliere, pur tentato dalle urne, non vuole certo passare per un incendiario. E così si limita a far sapere che «si rimetterà» alla decisioni di Draghi e Mattarella. Salvini dice di essere al lavoro su «una proposta per la pace fiscale e pare che a fine luglio farà un giro al Papeete di Milano Marittima, dove partì la crisi del 2019. Per lui sarebbe difficile, di fronte a una retromarcia dei 5 stelle, dire che la Lega si chiama fuori. L’unica che guarda dritto alle urne è Giorgia Meloni, ma questa non è una novità: «Questa legislatura è finita, daremo battaglia per elezioni subito».

In casa Pd si confida di poter riportare Conte nell’alveo della maggioranza, anche se il discorso che Draghi farà mercoledì alle Camere potrebbe essere molto duro contro i 5 stelle. Il problema, per chi cerca di salvare la baracca, è come reagirà il premier. E soprattutto i dem temono che la destra, alla fine, non resista alla tentazione di quello che viene definito «un rigore a porta vuota». E cioè una larga vittoria nelle urne d’autunno, contro un centrosinistra in pezzi. Per questo i dem, nonostante la mossa del M5S, non ci pensano neanche a ripetere che l’alleanza è finita» (lo fa solo il renziano Marcucci ma è un suo chiodo fisso). «Il futuro del campo largo? Una cosa alla volta, adesso pensiamo al governo», spiega Letta. Anche se nel Pd le critiche verso i grillini, a microfoni spenti, sono durissime.

Il problema adesso è fare in modo che Salvini non si lasci trascinare da Meloni. E impedire che Berlusconi, con una mossa delle sue, sparigli e chieda le urne coi due alleati. Le elezioni sarebbero un rigore a porta vuota.

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