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Al mercato delle armi il Golfo compra, Israele testa e vende

Al mercato delle armi il Golfo compra, Israele testa e vendeIl premier israeliano Netanyahu osserva una batteria Iron Dome – Ap

Guerre future Il rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) riferisce di un eccezionale aumento dell'importazioni di armi di ogni genere da parte di alcuni paesi arabi e di tre industrie belliche israeliane tra i leader mondiali del settore

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 17 marzo 2021

Le vendite di armi si assestano in varie regioni del mondo ma vanno sempre più forte in Medio Oriente dove sono aumentate del 25% negli ultimi quattro anni. E le esportazioni israeliane, pur rappresentando «solo» il 3% del totale globale tra il 2016 e il 2020, sono cresciute del 59% negli ultimi cinque anni. Inoltre tre giganti delle industrie militari dello Stato ebraico – Elbit Systems, IAI e Rafael Advanced Defense Systems – sono tra i leader mondiali del settore. Arabia Saudita, Qatar ed Egitto guidano la classifica dei paesi arabi che hanno aumentato l’importazione di aerei da combattimento, carri armati, sistemi missilistici. Doha addirittura fa segnare un + 361%. A riferirlo è lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) nel rapporto che ha presentato lunedì che stima i volumi di trasferimenti di grandi armamenti e non il valore delle transazioni finanziarie.

Gli ultimi dati del Sipri sul commercio delle armi che sottrae ogni anno centinaia di miliardi di dollari al welfare, sanità, scuole e università in tutto il mondo, giunge mentre il Medio oriente vive un’altra delle sue fasi critiche. Il confronto tra Israele e Iran è sempre più aperto e Tel Aviv non fa mistero dei suoi piani di attacco alle centrali nucleari iraniane se gli Usa non confermerà la linea del pugno di ferro contro Tehran adottata da Donald Trump. In questi ultimi giorni è stato dato un particolare risalto ai «traguardi» della tecnologia militare israeliana. Ieri è stato annunciato l’ulteriore sviluppo del sistema anti-razzo «Iron Dome» anche contro i droni che segue il test positivo del nuovo mortaio noto come «Iron Sting». Quest’ultimo è destinato in particolare a colpire obiettivi nelle aree urbane con, affermano fonti ufficiali israeliane, «minimi danni collaterali» (i civili ammazzati) grazie all’impiego di munizioni guidate da laser e Gps. Secondo il ministro della difesa israeliano, Benny Gantz, l’industria militare nazionale è in grado di fornire alle forze armate «mezzi più letali, accurati ed efficaci». Dietro l’«Iron Sting» c’è la Elbit Systems che conquista anno dopo anno importanti fette di mercato anche in Europa. Le industrie militari israeliane hanno fatto grandi passi avanti anche in India e in altri paesi. Arriva da Israele il 69% delle importazioni di armi dell’Azerbaigian che lo scorso anno ha combattuto una guerra sanguinosa contro l’Armenia in cui i droni killer israeliani hanno avuto un ruolo chiave.

Comprano ogni anno armi per molte decine di miliardi di dollari le monarchie del Golfo. La prima è sempre quella saudita ma anche gli Emirati fanno la loro parte. Abu Dhabi attende solo il via libera di Joe Biden per l’acquisto, definito con la passata Amministrazione Usa, di 50 caccia F-35 di quinta generazione. In Nordafrica a recitare la parte del leone è l’Egitto che ha aumentato le sue importazioni di armi del 136% tra il 2011-15 e il 2016-20. La Turchia di Erdogan ora compra molto di meno, si è messa in proprio e sta sviluppando rapidamente la sua produzione militare, in particolare di droni che hanno già dimostrato la loro letale efficacia nel conflitto siriano e, come quelli israeliani, nella guerra tra Azerbaigian e Armenia. Si affida, a causa dell’embargo, quasi esclusivamente alle sue industrie militari anche l’Iran che in segreto fornisce ai ribelli yemeniti Houthi missili e droni per attaccare l’Arabia Saudita oltre ad assicurare i rifornimenti per l’arsenale del movimento sciita libanese Hezbollah.

Vendono sempre più armi le potenze occidentali, in calo Cina e Russia. Pechino, quinta al mondo al mondo dal 2016-20, ha visto diminuire le sue esportazioni di armi del 7,8% tra il 2011-15 e il 2016-20. L’Italia è scesa al decimo posto della classifica mondiale ma è il secondo paese esportatore verso la Turchia e il terzo verso il Pakistan e Israele, tutti e tre coinvolti in conflitti armati. Senza dimenticare le vendite di armi italiane all’Egitto, tra cui di recente una fregata, nonostante la ferma opposizione della società civile per l’assassinio di Giulio Regeni. Tra i cinque big che da soli assorbono il 76% del mercato – Stati Uniti, Russia, Francia, Germania e Cina – Parigi è quella che ha registrato il maggior incremento (+44%).

 

 

 

 

 

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