Le pere sono diventate l’emblema della crisi produttiva che negli ultimi anni sta interessando gli alberi da frutto del nostro paese. Il tradizionale Salone internazionale della pera, che si doveva tenere a Ferrara nel novembre scorso, è stato spostato a marzo 2024. Le associazioni di categoria denunciano la drammatica crisi in cui è precipitato il settore produttivo delle pere. Il 2023 si è chiuso con una produzione di 180 mila tonnellate, che rappresenta il minimo storico e con un calo del 63% rispetto al 2022. Per gli altri paesi europei il calo è stato più contenuto e si è attestato intorno al 12%. Secondo i dati di Nomisma, la produzione si è ridotta del 75% rispetto al 2018. Se andiamo indietro nel tempo, nel 2010 la produzione italiana di pere superava le 900 mila tonnellate e il nostro paese era il primo produttore e primo esportatore europeo.

IL CALO PRODUTTIVO È ANDATO DI PARI PASSO con la diminuzione della superficie coltivata, che si è ridotta del 35% in dodici anni. Se nel 2018, secondo Nomisma, la bilancia commerciale delle pere era in attivo di 92 mila tonnellate, nel 2023 si registra un saldo negativo di 50 mila tonnellate. Sta di fatto che negli ultimi cinque anni le importazioni di pere da Spagna, Olanda, Belgio, Argentina, Cile, Sud Africa sono aumentate del 70%. Sono numeri impressionanti che stanno a indicare che uno dei frutti più importanti della frutticoltura italiana rischia di scomparire. Il rapido e incontrollato calo produttivo che ha colpito le pere è considerato un segnale allarmante, perché i fattori che lo hanno determinato possono manifestarsi con la stessa intensità per altri prodotti frutticoli.

TUTTI I PRODUTTORI ATTRIBUISCONO AL CAMBIAMENTO climatico e ai fenomeni ad esso associati la responsabilità del crollo della produzione di pere. Il problema è che il cambiamento climatico è avvenuto con grande rapidità e la maggior parte degli agricoltori non è stata in grado di mettere in atto adeguate misure di adattamento e difesa delle coltivazioni (introduzione di varietà più resistenti, sistemi di irrigazioni più efficaci, reti antigrandine). La difesa dei frutteti dalle avversità climatiche e dai parassiti comporta elevati costi di produzione che gli agricoltori non riescono a sostenere e che difficilmente vengono recuperati attraverso la vendita dei frutti. Ed è così che numerosi produttori di Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, regioni in cui si concentra il 75% delle superficie coltivata a pere, hanno iniziato a sradicare i frutteti per puntare su altre coltivazioni meno esposte alle avversità climatiche e dunque più remunerative.

IL PERO, ORIGINARIO DELL’ASIA OCCIDENTALE, è da secoli una delle piante più diffuse sul territorio italiano, con numerose varietà in grado di produrre frutti da maggio a novembre. Nel Medioevo era coltivato prevalentemente come pianta ornamentale, ma già a partire dal 1600, anche grazie alle pratiche colturali sviluppate nei giardini dei monasteri, si afferma come albero da frutto in Italia e nel centro Europa. Attualmente sono più di cento le varietà maggiormente coltivate nelle zone del pianeta con clima temperato, ma si tratta prevalentemente di produzioni locali, mentre quelle più commercializzate sono una decina. Il mercato e le produzioni industriali hanno determinato anche per le pere una uniformità produttiva che mal si concilia con i cambiamenti climatici. Williams, kaiser, abate, decana, conference, coscia, sono le varietà più coltivate in Europa.

GLI AGRICOLTORI ITALIANI SONO SEMPRE STATI all’avanguardia nel praticare tecniche colturali in grado di valorizzare le varietà di pere più produttive e più resistenti alle avversità climatiche e agli agenti patogeni, garantendo anche elevate caratteristiche organolettiche dei frutti. Ora, tutto è messo in discussione dagli eventi climatici avversi che si stanno manifestando con particolare intensità negli ultimi anni. Il 2023, in particolare, si è caratterizzato per un susseguirsi di eventi in grado di sconvolgere il ciclo produttivo delle piante di pero, più vulnerabili rispetto ad altri frutteti. L’andamento climatico influenza la fisiologia delle piante e gli inverni miti sono considerati avversità climatiche per la frutticoltura.

IL MITE INVERNO CHE SI È REGISTRATO alla fine del 2022 nelle aree di produzione delle pere ha favorito un risveglio vegetativo anticipato delle piante, con la conseguenza che a marzo 2023 gran parte dei frutteti emiliano-romagnoli e veneti presentavano abbondanti fioriture. Le forti gelate sopraggiunte nel mese di aprile hanno impedito la formazione dei frutti, con perdite superiori al 70-80%.

NESSUNO MEGLIO DI UN FRUTTICOLTORE è in grado di comprendere e spiegare gli effetti dei cambiamenti climatici in atto, la sequenza di eventi che gli inverni più miti stanno producendo e come l’accentuata instabilità climatica (ondate di calore, siccità, grandinate, precipitazioni violente, gelate) va ad impattare sulla produzione di frutti L’alluvione che ha colpito nel maggio 2023 l’Emilia-Romagna, cuore produttivo delle pere made in Italy, va annoverata tra gli eventi estremi in grado di sconvolgere il ciclo naturale delle piante. Anche le forti grandinate che in estate si sono abbattute sulle aree di produzione delle pere hanno contribuito ad ampliare le dimensioni del disastro.

TRA LE CONDIZIONI CLIMATICHE AVVERSE, le alte temperature e la siccità agiscono producendo uno stress termico e idrico che indebolisce le piante e le espone all’azione dei patogeni. Le malattie fungine che colpiscono in misura crescente il pero e gli altri alberi da frutto, determinando vere e proprie emergenze fitosanitarie, sono sempre più difficili da combattere.

UN DISCORSO A PARTE MERITA LA CIMICE ASIATICA, individuata a partire dal 2012 nei frutteti di pere dell’Emilia-Romagna. L’insetto, arrivato in Europa attraverso le rotte commerciali, si è rapidamente adattato alle mutate condizioni climatiche. Gli inverni tiepidi e l’assenza di antagonisti naturali ne hanno favorito la riproduzione su larga scala, con la conseguenza di allargare il suo campo d’azione anche tra le piante di mele, pesche, nettarine, ciliegie, uva e kiwi.

IL 2023 È STATO L’ANNO NERO DELLA FRUTTICOLTURA italiana, ma i danni subiti dai frutteti condizioneranno le produzioni degli anni a venire. Non sarà facile uscire dalla grande crisi che sta interessando le pere italiane, con la conseguenza di doverci rivolgere in misura crescente ai produttori dei paesi extra europei. Si accentuerà un fenomeno già ampiamente diffuso: l’offerta di pere acerbe, raccolte quando non hanno ancora raggiunto un adeguato grado zuccherino e destinate a non raggiungere la maturazione, col risultato di un peggioramento delle qualità organolettiche dei frutti in commercio.