Internazionale

Al Cairo 26 condanne a morte

Al Cairo 26 condanne a morteEsercito egiziano di fronte alla prigione dove sono rinchiusi i giornalisti sotto processo – Reuters

Egitto Si insedia il nuovo governo. Il golpista Sisi torna alla Difesa. «Terroristi» alla sbarra

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 27 febbraio 2014

Il pugno duro contro gli islamisti si aggrava. Mentre si insedia il nuovo esecutivo, guidato dall’ex dirigente del Partito nazionale democratico, Ibrahim Mahlab, dopo le improvvise dimissioni di Hezam Beblawi di due giorni fa, i giudici egiziani hanno condannato a morte 26 persone per aver fondato «un gruppo terroristico» con lo scopo di attaccare navi nel Canale di Suez. Accettando l’incarico, Mahlab aveva dichiarato: «schiacceremo il terrorismo in ogni angolo del paese».
Gli accusati, assenti durante il processo, avrebbero fabbricato missili ed esplosivi per organizzare gli attentati. Nella sentenza, i 26 (non è stato reso noto a quale gruppo radicale appartengano) sono stati dichiarati colpevoli di attentato «all’unità nazionale», incitamento alla violenza contro l’esercito, la polizia e i cristiani. Dopo il colpo di stato militare del 3 luglio 2013, proprio nel Sinai, si sono registrati i più gravi attenti contro soldati e poliziotti egiziani. Tuttavia, gli islamisti moderati vicini alla Fratellanza musulmana hanno spesso puntato il dito contro la Sicurezza di Stato (Amn el Dawla), accusata di essere spesso mandante delle violenze. E i sabotaggi proseguono nella regione. La notte scorsa, un gasdotto che collega due stabilimenti tra il centro del Sinai e la Giordania è stato fatto esplodere.
Il nuovo governo Mahlab inaugura così un esecutivo in perfetta continuità con il suo predecessore. Sono ben 15 i ministri confermati, tra questi il ministro della Difesa Abdel Fattah Sisi. Resta poi in carica il sanguinario Mohammed Ibrahim, ministro dell’Interno, scampato ad un attentato lo scorso settembre, che ha ordinato lo sgombero e le violenze della scorsa estate contro gli islamisti, provocando oltre mille morti. Restano al loro posto anche il ministro degli Esteri, Nabil Fahmy, il ministro dell’Informazione, Dorreya el Din, accusata di aver acconsentito agli arresti sommari di giornalisti anti-regime e, nonostante la gravissima crisi economica, i ministri dell’Agricoltura, Ayman Hadid e il ministro dell’Industria, Abdel Nour.
L’incarico di ministro della Difesa ha acquisito un ruolo decisivo, dopo l’approvazione della Costituzione nel gennaio scorso, che ha accresciuto le funzioni del ministero e portato a otto anni la durata dell’incarico. A questo punto si attende la candidatura ufficiale di Sisi alle presidenziali di aprile. Secondo la stampa locale, il generale la annuncerà dopo l’approvazione della legge elettorale, prevista per il prossimo primo marzo.
Ma ci potrebbero essere delle sorprese. Prima di tutto diventa sempre più probabile la candidatura di Sami Anan, ex capo dello Staff dell’esercito e consigliere dell’ex presidente Mohammed Morsi. Sulla discesa in campo di Anan si è sbizzarrita la stampa locale: potrebbe essere un tentativo di dare maggiore credibilità all’annunciata vittoria di Sisi (aveva fatto lo stesso l’ex vice presidente Omar Suleiman nell’estate del 2012 prima di essere dichiarato ineleggibile); oppure la candidatura di Anan potrebbe creare problemi a Sisi, mostrando le divisioni interne all’esercito. Tuttavia, nel caso in cui l’altro uomo forte dell’élite militare egiziana davvero si facesse avanti si potrebbe ipotizzare una staffetta tra i due, confermando Sisi a guida della poltrona al momento più solida in Egitto: il ministero della Difesa.
Tutto questo avverrebbe lasciando uno spazio ridicolo ai candidati in abiti civili, dal comunista Khaled Ali, che ha confermato la sua partecipazione alle presidenziali, al nasserista Hamdin Sabbahi. Infine, l’altro politico che preoccupa l’esercito e che si è espresso contro l’ingerenza in politica dei militari, l’ex candidato alle presidenziali, l’islamista moderato Moneim Abul Fotuh potrebbe essere tentato di avanzare una sua candidatura.
E così tre esponenti del suo partito (Egitto forte) sono stati condannati a tre anni per disturbo alla quiete pubblica. I tre distribuivano volantini per spingere gli egiziani a votare «no» al referendum costituzionale del 14 gennaio scorso. Infine, la televisione satellitare al Jazeera, vicina alla Fratellanza, ha lanciato una campagna per chiedere il rilascio dei suoi quattro giornalisti agli arresti in Egitto, promuovendo una serie di manifestazioni alle porte delle ambasciate egiziane delle principali capitali del mondo.

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