Visioni

Akio Jissoji, il regista dell’impermanenza

Akio Jissoji, il regista dell’impermanenza

Maboroshi Il ventinove novembre del 2006 moriva Akio Jissoji, regista giapponese per certi versi di culto ma molto trasversale nel suo percorso artistico. Nella sua lunga carriera infatti Jissoji ha spaziato […]

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 9 dicembre 2016

Il ventinove novembre del 2006 moriva Akio Jissoji, regista giapponese per certi versi di culto ma molto trasversale nel suo percorso artistico. Nella sua lunga carriera infatti Jissoji ha spaziato senza troppi problemi dalle serie televisive tokusatsu, al cinema art house più estetizzante fino a grandi produzioni di Science Fiction.
Proprio per celebrare il decimo anniversario della sua morte, un gruppo di studio che si occupa del regista ha organizzato nel mese di dicembre nella città di Kyoto una retrospettiva che include 30 delle opere realizzate da Jissoji durante la sua carriera.

Per dare un’idea della trasversalità e dell’unicità del regista basti pensare che viene ricordato da certa parte della critica giapponese, ma anche fuori dall’arcipelago, come l’autore dei migliori episodi della serie Ultraman durante gli anni sessanta, il regista senza il cui tocco la serie televisiva non avrebbe mai avuto il successo che poi riuscì ad ottenere. Allo stesso tempo però fra gli studiosi e gli appassionati di cinema nipponico, il nome di Jissoji è spesso accomunato a quello dell’Atg (l’Art Theatre Guild) la casa di produzione e distribuzione indipendente a cui tanto deve lo sviluppo del cinema giapponese degli anni sessanta e settanta.

Proprio con l’Atg nel 1970 Jissoji realizza uno dei suoi capolavori, This Transient Life, la rappresentazione cinematografica del concetto di mujo (il titolo originale): in giapponese «impermanenza», concetto che tanta parte occupa nell’estetica dell’arcipelago e nella filosofia buddista. L’impermanenza, il passare di tutte le cose è portato sullo schermo con tecniche cinematografiche assai complesse come il costante movimento della macchina da presa e angolazioni molto particolari che sarebbero rimaste una costante durante tutta la carriera del regista. La storia inoltre è resa ancora più potente dal tema trattato, che all’epoca destò scandalo, infatti metteva in scena uno dei tabù più delicati, quello dell’incesto fra sorella e fratello.
Il film fu il primo grande successo per l’Atg e fu presentato anche a Locarno dove nel 1970 vinse il Grand Prix.

Dopo questo lavoro Jissoji continua ad indagare l’aspetto religioso e filosofico della vita con altri due lungometraggi, Mandala del 1971 e Poem dell’anno sucessivo, anche qui una composizione stilistica raffinata si lega ad una visione ed una sensibilità molto prossime a quelle buddiste. Del resto questa visione della vita e del mondo che Jissoji prendeva dal buddismo e rielaborava in modo personale, si può ritrovare, naturalmente filtrata dalle esigenze del mezzo televisivo, anche negli episodi di Ultraman da lui diretti. Dopo varie esperienze nel genere pink eiga e horror, Jissoji ritorna alla ribalta cinematografica nel 1988 con la realizzazione del colossal Teito monogatari (Tokyo the Last Megalopolis), lungometraggio epico e fantasy tratto dall’omonima saga scritta da Hiroshi Aramata.

Uno degli ultimi progetti a cui ha partecipatio è stato Rampo Noir, omnibus di ottimo livello uscito nel 2005 con episodi tutti basati su storie di Edogawa Ranpo (traslitterazione di Edgar Allan Poe), nom de plume dei uno dei più importanti scrittori dell’orrore e del mistero giapponesi.
L’episodio diretto da Jissoji si intitola Mirror Hell, dove gli specchi e l’ossessione per la propria figura conducono alla follia il protagonista, lavoro che nella sua brevità racchiude tutte le ossessioni, lo stile e la poetica dell’autore giapponese, regista che speriamo un giorno possa venir riscoperto nella sua interezza anche nel nostro paese.

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