Air, alle frontiere del french touch
Anniversari/«Moon Safari», il capolavoro del ’98 del duo, è ancora oggi un avvincente «Ufo musicale» L’album verrà riproposto integralmente in un tour europeo che toccherà anche l’Italia, domani, 25 febbraio, a Milano e a giugno a Roma e a Ferrara. Occhio al vellutato synth pop della band che travalica i limiti del genere ed esonda verso influenze eterogenee e molto ricercate
Anniversari/«Moon Safari», il capolavoro del ’98 del duo, è ancora oggi un avvincente «Ufo musicale» L’album verrà riproposto integralmente in un tour europeo che toccherà anche l’Italia, domani, 25 febbraio, a Milano e a giugno a Roma e a Ferrara. Occhio al vellutato synth pop della band che travalica i limiti del genere ed esonda verso influenze eterogenee e molto ricercate
In un racconto di Ray Bradbury del 1952, i viaggi nel tempo sono la nuova frontiera del turismo esperenziale, che a suon di dollaroni permette perfino di tornare all’era mesozoica per incontrare dal vivo i dinosauri in un safari di caccia. Il rischio, però, è quello di alterare in maniera determinante la storia dell’evoluzione umana, cambiando per sempre la vita dei protagonisti e dell’intera umanità. Il racconto si intitola A Sound of Thunder e nel 1997 era la lettura preferita di Jean-Benoît Dunckel, metà del duo degli Air, fino ad allora una misconosciuta realtà parigina con una manciata di singoli alle spalle. Ma di lì a pochi mesi il futuro di Dunckel e del suo collega Nicolas Godin cambierà completamente, proprio come nella storia apparsa nella raccolta The Golden Apples of the Sun. A mutare il destino dei due giovani musicisti, però, non sarà l’impeto di un tuono, ma l’eleganza exotica e retrofuturista di un album che entrerà nelle cronache musicali mondiali: Moon Safari. Il titolo di questo monolite sonoro arriva proprio da quella lettura estemporanea di Dunkel, che adorava la parola «safari» e con quelle dieci tracce evidentemente immaginava di godersi un sundowner sulla Luna.
LA SVOLTA
La seconda metà degli anni Novanta, a Parigi, era un periodo di rovente eccitazione, con una scena elettronica in fervente ascesa e il desiderio di superare la mania brit pop d’oltremanica. Nicolas Godin, studente di architettura, vede nella musica una modalità di approcciarsi allo spazio in maniera originale, lavorando già dal 1995 al singolo Modular Mix con lo scopo di esplorare i riverberi fra i suoni. Per Jean-Benoît Dunckel le cose funzionano diversamente, con una moglie e una figlia da mantenere e il solo lavoro di professore di matematica a sostenerli. Troppo poco per sbarcare il lunario. L’esperienza al fianco di Godin col progetto Orange non aveva granché funzionato, dato che l’indie rock a quei tempi trovava poco interesse soprattutto in patria, ma l’aria di rinnovamento elettronico aveva colpito anche le loro orecchie. L’uscita di Homework, il debutto su lunga distanza dei Daft Punk, aveva stravolto gli ascolti e le abitudini di ballo di una generazione, ma gli Air compresero subito che l’errore madornale sarebbe stato imitare de Homem-Christo e Bangalter. Dunque si chiusero nell’appartamento di Godin senza attrezzature professionali, prima che la laptop generation cambiasse il modo di intendere la bedroom music. Il punto di arrivo voleva essere un vero studio di registrazione, ma a loro disposizione avevano solo un campionatore, un registratore a 8 tracce, tastiere e drum box. Modulor Mix prese forma proprio dal sistema di proporzioni di Le Corbusier, unendo l’approccio del sound design alla produzione di Étienne de Crécy, dj e producer francese che sarebbe anche lui esploso dopo pochi anni. Il primo 12” uscirà su Mo’ Wax, l’etichetta britannica più cool del momento, seguito da altri due singoli che convergeranno nel promettente ep Premiers Symptomes.
Il 1998, però, è l’anno della vera svolta. Il 16 gennaio la Virgin Records colloca negli scaffali dei negozi di dischi il cd Moon Safari. «Un mese dopo» – ricorda Dunckel – eravamo diventati enormi». A distanza di 25 anni, quella raccolta di brani per viaggi spaziali resta un vero e proprio Ufo musicale, venerato in mezzo mondo tanto che per questo anniversario è appena partito un tour che sta attraversando l’Europa, per eseguire interamente dal vivo quelle tracce che hanno fatto epoca. Tour che dopo l’esordio nel capoluogo della Normandia, Rouen, e la seconda data a Ginevra, arriverà domani, domenica 25 febbraio, al Fabrique di Milano. Prodotto da Vivo Concerti e andato sold out in poche ore, il live promette l’inserimento di visual di pixel animation, viaggi interstellari e outfit di bianca sobrietà. Il tour proseguirà attraverso il continente fino a luglio e il duo parigino tornerà in Italia il 21 giugno al Parco della Musica di Roma e il 22 giugno al Summer Vibez di Ferrara.
STUPORE
Per chi quell’album l’ha ascoltato nell’anno di uscita è innegabile che il primo impatto sia stato di assoluto stupore. Lontani dalle chitarre melodiche dei best seller britannici, distanti anni luce dai loop incalzanti dei ritmi più dance, fin dalla prima traccia gli Air proiettavano l’ascoltatore in una dimensione placidamente avvolgente, con beat che irradiavano armonie melliflue, synth eterei, linee di basso oniricamente rilassate. In un periodo in cui il trip hop si stava affermando nelle sue forme più ossessive e magnificamente disturbanti, proprio mentre il downtempo iniziava a prender piede nella sua veste ultra-patinata, Moon Safari si lanciava oltre l’esosfera terrestre per agganciare sogni, suggestioni, desideri e immaginari provenienti da una dimensione retro-avveniristica. Se alcune tracce evocano atmosfere vintage, richiamano suggestioni di spazio e fantascienza, altre sono sorprendentemente moderne proprio nel loro approccio alla produzione elettronica. La differenza sta principalmente nel fatto che Dunckel e Godin hanno deciso di suonare praticamente tutto dal vivo, invertendo in maniera coraggiosa una modalità di lavoro à la page in quel periodo, che prevede l’uso spasmodico dei campionamenti (per cui proprio i Daft Punk rimangono esempi assoluti). Pur da annoverare fra le band di punta di una rinnovata scena french touch, il vellutato synth pop degli Air travalica i limiti di genere ed esonda verso influenze eterogenee e molto ricercate. Se il primo nome che viene in mente è quello dei Pink Floyd – che pure restano un riferimento determinante per il duo – gli stili di Morricone e Umiliani si impongono in maniera evidente nell’ascolto dell’album fino a prendere esplicitamente spazio in Ce matin-là, il tributo degli Air alle colonne sonore, registrato in parte negli studi di Abbey Road al fianco dell’arrangiatore David Whitaker.
LIBERTÀ ESPRESSIVA
La freschezza compositiva di Moon Safari affonda le radici nella totale libertà espressiva che il duo ha utilizzato, passando agevolmente dai brani strumentali alla forma canzone. In questo senso All I Need e You Make It Easy fanno storia a sé, con la cantautrice Beth Hirsh assoluta protagonista. Arrivata a Parigi a inizi anni Novanta per lavorare come ragazza alla pari, comincia a cantare quasi per scherzo durante i party sulla Senna e viene notata dagli addetti ai lavori. La pubblicazione del suo primo ep per Rough Trade la spinge a lavorare con il produttore Étienne Wersinger, amico e soprattutto vicino di casa di Nicolas Godin. Le affinità elettive fra Air e Beth Hirsh porteranno la ragazza a scrivere e interpretare i testi di due fra i brani più accattivanti, elegiaci e appassionati dell’album, dei classici che elevano la formazione parigina alle altezze di Serge Gainsbourg e Burt Bacharach, altri artisti seminali per l’intera discografia del duo. All I Need è la cristallizzazione di un istante perfetto nella vita della Hirsh, quello della sua esperienza parigina e dell’inserimento in quella straordinaria scena artistica, sorretta da un tappeto sonoro elettroacustico di bellezza cristallina. You Make It Easy apre, invece, la strada alla parte più romantica della produzione degli Air, che troverà la perfezione con la colonna sonora del film di Sofia Coppola The Virgin Suicides e con il memorabile bubblegum pop di Playground Love. Ma la vera forza, dicevamo, è la capacità di esplorare diverse forme di songwriting, orgogliosamente alla ricerca anche del singolo dal riff accattivante, elemento che centrano precisamente con le due hit dell’album: Sexy Boy e Kelly Watch the Stars.
A 25 anni di distanza dalla pubblicazione, non solo il suono resta magnificamente fuori dal tempo, ma anche i video mostrano un’estetica che ancora integra passato vintage e futuro avveniristico. In Kelly Watch the Stars – il brano dedicato a Jacqueline Smith, la Kelly di Charlie’s Angels nonché la donna più bella del mondo secondo Godin – una partita al videogioco Pong si trasforma in una avvincente sfida di tennis-tavolo con tanto di allucinazioni spaziali. Il ritornello a ciclo continuo di Sexy Boy e i suoi inserti elettronico-psichedelici accompagnano un video altrettanto stralunato, con una scimmietta pupazzo a spasso nel cosmo.
In una possibile rilettura di quegli anni, l’accostamento di Moon Safari al suono ambient non è tanto corretto nella sua enunciazione formale, bensì nella specifica contestualizzazione della rivoluzione musicale parigina. Mentre Cassius, de Crécy, Stardust, Bob Sinclar e Modjo spingono il beat e i bassi verso house, funk e disco, gli Air imbastiscono un afterhour di puro chillout. Volendoli avvicinare alla categoria teorizzata dal giornalista guru dell’ambient, David Toop, la loro è più un’attitudine che una semplice espressione musicale, un’esperienza d’ascolto che va a seguire quella dei colleghi francesi.
Vicina al jazz ma più rilassata, sensuale e naturalmente calda, la formula degli Air sarà composta con Moog, Mellotron, Korg, chitarre, glockenspiel e vocoder. Tutto suonato da veri sessionmen, con la concessione di soli due sample particolarmente significativi. Il primo è la percussione super sciolta che apre La femme d’argent, incollata da Runnin’ di Edwin Starr, licenziato nel 1974 per Motown; il secondo è la batteria cibernetica di Do it Again dei Beach Boys, che viene esasperata sull’anomala Remember, quasi una colonna sonora per L’uomo bicentenario di Asimov. L’album si chiude sulla fiabesca New Star in the Sky, omaggio di Jean-Benoît Dunckel alla passione per l’astrofisica, alle infinite opportunità sonore di uno spazio senza limiti e vuoto, un luogo assoluto da colmare di geometrie impossibili, armoniosamente interconnesse.
CINEMA E LETTERATURA
Il seguito della produzione firmata Air non sarà meno avvincente e si nutrirà anche di arte (col disco Music for Museum, colonna sonora originale su commissione del Palais des Beaux-Arts de Lille), letteratura (la collaborazione con Alessandro Baricco per la sonorizzazione del suo City) e naturalmente cinema (oltre a Virgin Suicides, anche con Le voyage dans la lune, colonna sonora composta per la proiezione al Festival di Cannes del 2011 del film di Georges Méliès del 1902).
Gli album prettamente da studio si sposteranno con disinvoltura attraverso sofisticazioni e revisionismi, ora verso l’oscurità ora con esplosioni solari, eppure Moon Safari rimane un oggetto sonante non identificato, sempre pronto a svelare un nuovo angolo di ascolto, un inedito incastro ritmico, un loop perfettamente circolare. È una musica che si apre nello spazio, che elegantemente si sposta di moto perpetuo.
FUORI GLI ALTRI
Gli anni di Moon Safari si inseriscono nella rielaborazione della tradizione francese attraverso i nuovi linguaggi del contemporaneo. Sono anni audaci, in cui l’eleganza delle forme sonore avvampa spesso nella sfrontatezza del beat, portando alla ribalta atmosfere in cui la retromania si mischia con house, disco, e funk. In queste schede elenchiamo alcuni fra gli artisti francesi che hanno dominato la scena di quel periodo, ma la sua influenza si è estesa oltre i confini nazionali, impattando su una molteplicità di stili e generi: dal trip hop di Morcheeba e Lamb al downtempo di Kruder & Dorfmeister e Tosca, dall’elettronica jazz di Four Tet all’indie sperimentale dei Broadcast. E poi Saint Etienne, Bent, Laika, Jazzanova, senza dimenticare i londinesi Zero7, che nelle prime uscite erano così simili agli Air da risultare quasi derivativi. In the Waiting Line è il perfetto esempio di come una contaminazione di genere possa portare a un clone praticamente calligrafico.
Dimitri from Paris Sacrebleu (1996)
Sebbene l’house sia un genere difficilmente accostabile a quello degli Air, Dimitri from Paris riesce a infondergli un tocco francese da disco revival che lo ha imposto per freschezza a tutti gli amanti dell’elettronica. Fin dalla copertina del suo debutto Sacrebleu, ogni cosa richiama a un tempo nostalgicamente passato, con reminiscenze lounge e vibrafono in primo piano, voce soffusa e atmosfera jazzy. Quel colpo retro-chic resterà una costante anche dei suoi lavori più ritmati e lo condurrà verso una carriera ai vertici della dance d’oltralpe.
Kid Loco A Grand Love Story (1997)
Dopo aver consolidato la sua carriera come pioniere di un hip hop positivo e rilassato, Kid Loco ha mostrato la sua versatilità e il suo talento nell’incorporare elementi di diversi generi musicali, rivelando una sensibilità fuori dall’ordinario anche nella realizzazione di remix per artisti come Pulp, Mogwai, Saint Etienne e Cornershop. Il suo esordio in studio, A Grand Love Story, è un’incursione sofisticata e romantica della scena di punta di fine millennio.
Mr. Oizo Analog Worms Attack (1999)
La spinta creativa del cinema è direttamente collegata alle attitudini del french touch, e con Mr. Oizo questo legame si fa ancora più saldo, dato che parliamo di un regista prestato alla musica. Basti guardare l’omaggio a Vigo nella copertina di Lambs Anger. Quentin Dupieux (questo il suo vero nome) emerge sulla scena alla fine degli anni Novanta, quando Mr. Oizo inizia a mescolare suoni eccentrici e ritmi trascinanti. Il singolo di debutto Flat Beat ha spazzato via le classifiche di tutto il mondo con il suo beat distorto e la sua melodia ipnotica, diventando un’icona (insieme al simpatico pupazzo giallo dei suoi video, Flat Eric) della cultura dance dell’epoca.
St. Germain Tourist (2000)
Appena inizia Rose Rouge, in apertura del primo album di St. Germain, capiamo subito che la formula d’origine è jazz, con quella batteria incalzante e ossessiva su cui si poggiano voce, sax e contrabbasso. Poi è il downtempo a prendere il sopravvento, come farà con decine di altre produzioni francesi del periodo, incrociandosi con lounge, exotica e house. Tourist uscì per l’etichetta F Communications, che fu fondamentale per il successo iniziale di St. Germain.
Laurent Garnier Unreasonable Behaviour (2000)
Parlando di french touch non si può dimenticare il guru della scena tech-house nazionale, emerso negli anni Ottanta e capace di trasformare i club in veri e propri templi della musica elettronica. La sua influenza non sta solo nella discografia, ma anche nella carriera da label manager della F Communications, con cui ha formato artisti che hanno influenzato un’intera generazione di appassionati. Unreasonable Behaviour è ben più di un album dance, è l’esplorazione di ambiti più ampi e sperimentali, sempre in bilico fra sospensione e accelerazione.
M83 M83 (2001)
Progetto musicale ora guidato solo dal compositore e produttore Anthony Gonzalez, M83 segue la linea dell’elettronica sognante e delle melodie avvolgenti. Dall’impronta fortemente cinematica – che abbraccia elementi di shoegaze, dream pop, synth pop e post rock – il suo primo album omonimo (realizzato assieme a Nicolas Fromageau) ha creato un mondo sonoro che mescola nostalgia e futurismo in una miscela unica, per poi spostarsi negli anni successivi verso derive psichedeliche, ambient ma anche più digital-mainstream.
Sébastien Tellier L’incroyable vérité (2001)
Da sempre definito artista eccentrico e visionario, Sébastien Tellier è un cantautore senza dubbio sofisticato e versatile, capace di ben incrociare pop ed elettronica. Emerso sulla scena musicale negli anni Novanta, Tellier ha abbracciato lounge e sperimentazione per arrivare all’album di debutto L’incroyable vérité, ricchissimo di invenzioni sonore e melodie orecchiabili. Nel 2008 pubblicherà Sexuality il suo successo commerciale, prodotto con Guy-Manuel de Homem-Christo dei Daft Punk.
La Femme Psycho Tropical Berlin (2013)
Fra le possibili incursioni del french touch in suoni «altri», con La Femme si fa avanti il surf rock mescolato con elettronica sperimentale e pop psichedelico alla Sukia. Formatisi nel 2010 e arrivati al primo album Psycho Tropical Berlin nel 2013, questi ragazzi nascono sulle rive della turistica Biarritz e possiedono un’energia contagiosa che si miscela a krautrock, Sixties surf, coldwave e classic french pop. Con questo disco hanno ricevuto il premio rivelazione dell’anno ai Victoires de la musique.
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