Cultura

Ai piedi delle capanne di Romolo

Ai piedi delle capanne di RomoloLuigi Spina, Paedagogium (Electa)

Percorsi verdi Un percorso lungo 1300 metri che, dalle pendici sud-orientali del Palatino, si snoda per arrivare all’area degli Horrea Agrippiana, da dove sfocia nel Foro raggiungendo le chiese di Sant’Anastasia e San Teodoro

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 29 giugno 2018

Roma ha inaugurato l’estate coltivando le radici della sua traballante memoria. Il 21 giugno, sul Palatino, il corniolo è stato piantato per la seconda volta laddove Plutarco racconta fosse cresciuto l’albero simbolo del gesto fondatore di Romolo. Una specie vegetale, che protetta dall’ombra crescerà fino a due metri e mezzo di altezza, diventa così il cardine intorno al quale ruota il nuovo percorso predisposto per i visitatori del colle.
«Il cammino è lungo 1300 metri», spiega Alfonsina Russo, direttrice del Parco del Colosseo e dell’area archeologica centrale di Roma. «Dalle pendici sud-orientali del Palatino, si snoda lambendo l’intero fronte meridionale; gira quindi sul lato occidentale per arrivare all’area degli Horrea Agrippiana, da dove sfocia nel Foro raggiungendo le chiese di Sant’Anastasia e San Teodoro».

LUNGO IL TRAGITTO sono tornate in vita le piante sacre della città. Allori, cipressi e il quarto stato della macchia mediterranea: la ruta, la rosa canina, la malva.
«I percorsi nel verde», chiarisce la direttrice, «saranno aperti per quattro ore la mattina e senza costi aggiuntivi, mentre dopo il tramonto, soltanto su prenotazione, saranno organizzate delle passeggiate letterarie in cui i narratori cercheranno di far rivivere le sensazioni provate da Goethe, che frequentò il Palatino tra il 1786 e il 1788». Una guida tascabile è stata inoltre predisposta per il visitatore dal passo lento, per il quale sono state pensate cinque tappe.

«Queste tappe offrono un viaggio avanti e indietro nel tempo secondo la direzione di percorrenza», sottolinea l’archeologo Alessandro d’Alessio, responsabile scientifico della Domus Aurea. «Lasciate alle spalle le strutture di III-IV secolo d. C. caratteristiche dell’area sud-orientale, si prosegue oltre i palazzi imperiali per sostare nella radura dove le fonti e i contesti archeologici collocano le fasi iniziali della fondazione».
Qui, dove la natura appare ancora selvaggia come ai tempi di Goethe, doveva sorgere il Lupercale, la grotta dove la lupa allattò i gemelli, e qui l’architetto paesaggista Gabriella Strano ha piantato il corniolo. Proprio dove dice Plutarco: ai piedi delle capanne di Romolo e in fondo alle Scalae Caci.
«Romolo, salito sull’Aventino, scagliò verso il Palatino una lancia di corniolo per stabilire i confini della Roma quadrata», racconta Strano. «Il corniolo offriva infatti un materiale resistente utile per realizzare armi affidabili. Le sue rosse bacche erano cibo per le cornacchie di Marte. Circe le diede in pasto anche ai porci in cui aveva trasformato i compagni di Ulisse».

LA LANCIA penetrò nel terreno umido e mise radici. Era stata ricavata da un albero ben augurante, che avrebbe tracciato i limiti di quel regno di esuli, reietti e schiavi fuggiaschi che avrebbe preso il nome di Roma.
«“I fior variopinti – diceva Columella – sono le stelle terrestri”, come se il ciclo cosmico trovasse una risposta quaggiù nella vegetazione», aggiunge Strano. «Perciò la loro festa fu fatta cadere nel giorno del solstizio d’estate, considerato lo sposalizio tra sole e luna da Servio Tullio, che si vantava di essere l’amante della dea Fortuna».
Nella radura alle origini della storia romana, tornata finalmente accessibile, archeologi e architetti hanno prestato attenzione a mantenere quella vegetazione spontanea che i botanici definiscono «naturale potenziale». Ciò che non si era preservato, è stato diligentemente reinserito. Mirto, lentisco e lauro sono ancora i protagonisti, quasi fossimo risaliti indietro nei secoli all’epoca che precedette la bonifica della Valle Murcia, resa necessaria per la costruzione del Circo Massimo. Con loro, le herbae surdae celebrate da Plinio: erbe umili e silenziose eppure preziose per la medicina e la religione. La verbena, per esempio.

«Il percorso appena inaugurato era stato aperto per poche occasioni soltanto nel 2000 durante il Giubileo», ricorda l’architetto Maria Maddalena Scoccianti. In seguito l’area attraversata tornò a servire da passaggio per gli autocarri e deposito per i materiali. Dal 21 giugno però, rientrando in un programma di manutenzione, il lato oscuro del Palatino non avrà più scusanti per nascondere le sue potenzialità. «Potranno essere riportati alla luce i mosaici del Paedagogium, celebre soprattutto per il graffito blasfemo dell’asino crocifisso, e della Schola Praeconum, nonché i sotterranei di Sant’Anastasia», anticipa Scoccianti. L’auspicio è che si possano presto percorrere le Scalae Caci, per raggiungere dalla radura del corniolo la Casa di Augusto e il tempio della Magna Mater. Verso il Foro, invece, Mariagrazia Filetici sta già restaurando il Clivo della Vittoria, da dove si salirà al Ninfeo della Pioggia e agli Horti Farnesiani.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento