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Ai confini dell’innovazione

Ai confini dell’innovazioneKaucic, Rasmussen e Gustafsson – foto di Ziga Koritnik

Eventi Tredicesima edizione del Brda Contemporary Music Festival. Con la direzione artistica del batterista Zlatko Kaučič, per tre giorni nel piccolo borgo di Medana si sono susseguiti concerti, workshop e una mostra fotografica.

Pubblicato circa un anno faEdizione del 21 settembre 2023
Nazim ComunaleMEDANA (SLOVENIA)

Tredicesima edizione del Brda Contemporary Music Festival, nella zona di confine del Collio sloveno, a pochi passi da Gorizia. Con la direzione artistica del batterista Zlatko Kaučič, per tre giorni nel piccolo borgo di Medana si sono susseguiti concerti, workshop e una mostra fotografica di Igor Petaros, a ritrarre alcune tra le personalità più in vista della musica creativa dei nostri giorni, tra cui i compianti Tristan Honsinger e Jamie Branch. Apre la rassegna Francis I., trombettista goriziano che ama trafficare con elettronica cheap e rap: una specie di acid-jazz virato weird con ruggini gabber e un mood da videogame divertente e colorato. Creativo e spettinato (è un complimento), ha il solo difetto di tenere il set troppo lungo. Fulminanti le tre improvvisazioni che il flautista pordenonese Massimo De Mattia esegue circondato dalle belle foto di Petaros: magistrali esplorazioni nei meandri del respiro, tra abissi e acuti. Interlocutorio il dialogo tra il batterista Vid Drašler e la violoncellista inglese Hannah Marshall: poi il mood zen fiorisce in un drone sottile e imprendibile che colpisce nel segno. Molto buoni invece gli ultimi due set della giornata, tutta dedicata a musicisti della valle dell’Isonzo: gronda energia il quartetto del bassista Timi Vremec, dove spicca a clarinetto e sax alto Clarissa Durizzotto; lo stesso vale per il quartetto del batterista Urban Kušar con tre sassofoni, tra cui segnaliamo Cene Resnik.

IL SECONDO giorno apre un solo della danese Mette Rasmussen al sax alto: grinta da vendere, estro e personalità hanno ancora margini di crescita. Notevoli a seguire le due cantanti Tea Vidmar e Irena Tomažin che ipnotizzano la platea con una performance teatrale dove suoni ancestrali, versi di animali, riduzionismo e misticismo arcaico e austero convivono in perfetto equilibrio; lo stesso che ritroviamo in uno dei migliori set del festival, quello della percussionista catalana Núria Andorrà: munita solo di una grancassa e di alcune pietre dona haiku e tempesta, una fitta pioggia di dettagli dove il ritmo e il suono si fanno voce della terra, racconto. Magica quando scatena l’apocalisse in una scatola di fiammiferi facendo suonare le biglie: non facile far cantare le percussioni, lei ci riesce benissimo. Più classico, in ambito free, il trio Gustafsson, Kaučič, Rasmussen, che alterna ferocia e lirismo, con il batterista a fare da collante tra i due fiati. Straordinario il solo della cantante Sofia Jernberg, dove si mescolano arie etiopi, svedesi, italiane e l’uso della voce come strumento. Interessante l’incontro tra la pianista austriaca Elisabeth Harnik e il sassofono soprano del finlandese Harri Sjöström, all’insegna di una improvvisazione tesa e ispirata, con l’ombra di Steve Lacy sullo sfondo. Chiude il concerto del workshop di Mats Gustafsson con una ventina di musicisti sul palco di un vecchio cinema di epoca jugoslava, che ha visto per la prima volta quest’anno alternarsi suoni liberi da varie parti d’Europa.

 

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