Voleva fare l’attore fin da bambino, invece Ahmet, di origini turche, è «finito soldato» nell’esercito austriaco. Una delle tante storie di confine dell’ultima edizione del Dok. fest di Monaco di Baviera, ed è ai bordi di due culture, turca e austriaca, che si muove il protagonista («Soldat Ahmet» di Jannis Lenz), un ragazzo perbene, ligio ai suoi doveri di figlio credente, pugile talentuoso. Eppure, a suo modo diserta le aspettative altrui per recuperare una vecchia passione nei panni di Stanley in «Un treno chiamato desiderio» con una compagnia teatrale. Ahmet non riesce a piangere, un desiderio che sfuma in nevrosi: che cos’è un uomo se non riesce ad esprimere le sue emozioni? Il documentario di Jannis Lenz, già assistente di Haneke rincorre questa tensione lasciando lo spettatore senza una suspence risolta (forse). Anche i giovani protagonisti del vietnamita «Children of the Mist» di Ha Le Diem sono incagliati tra i social media e i precetti della tradizione della comunità Hmong che «prevedono» il rapimento della futura sposa. L’inevitabile schizofrenia attorno alla dodicenne Di nel nord del Vietnam: genitori che non disdegnano l’alcool, rossetti e lavori di montagna; nonostante la legge vieti i matrimoni infantili e l’usanza implichi casi di tratta sessuale, le vecchie abitudini resistono. Presentato e premiato all’ IDFA del 2021, il documentario si nutre di toni leggeri come l’adolescenza sa di essere. Su altre latitudini e apparenze vive le sue giornate Leonie, influencer tedesca in progress, ritratta tra compiti di matematica e promozioni di prodotti su Instagram da Susanne Regina Meuers in «Girl Gang».

Un lavoro di osservazione durato mesi, immerso nel managing familiare, nel delirio di piccole fans scatenate agli eventi nei centri commerciali. Il dubbio resta (almeno per la regista): sacrifici e duro lavoro o gioventù strappata all’educazione culturale oltre i dispositivi? Chi della libertà non sa che farsene e chi la brama. «1001 Nights Apart» di Sarvnaz Alambeigi è una metaforica trasposizione di Sherazade che racconta storie per non morire. In una sala prove clandestina un gruppo di ballerini iraniani ostinatamente coltiva la danza contemporanea mentre l’autrice ripercorre la storia del Iranian National Ballet Company prima della Rivoluzione del ’79. A chiudere il cerchio Russia e Ucraina. La prima con «How to Save a Dead Friend» di Marusya Syroechkovskaya che mette insieme i pezzi di un racconto di formazione di due adolescenti (regista e compagno) nella periferia russa tra il 2000 e 2009 tra droghe, depressione e amore. Inevitabilmente (e giustamente) premiata la seconda con «Trenches» (2021) del regista e giornalista francese esperto di conflitti Loup Bureau che, appunto, resta in trincea con i soldati ucraini nel fronte del Donbass. Un bianco e nero durissimo e quotidiano