Ahed Tamimi: l’occupazione ci prende anche la giovinezza
Intervista Parla la 17enne di Nabi Saleh divenuta un simbolo della resistenza palestinese per gli schiaffi dati a due soldati lo scorso dicembre. «Gli israeliani mi accusano di essere una ragazza violenta ma la vera violenza è quella che compie l'occupazione che ci ruba la terra, ci imprigiona e ci nega la libertà»
Intervista Parla la 17enne di Nabi Saleh divenuta un simbolo della resistenza palestinese per gli schiaffi dati a due soldati lo scorso dicembre. «Gli israeliani mi accusano di essere una ragazza violenta ma la vera violenza è quella che compie l'occupazione che ci ruba la terra, ci imprigiona e ci nega la libertà»
Il giardino di casa Tamimi nel villaggio cisgiordano di Nabi Saleh in questi giorni è una enorme sala d’attesa per giornalisti, delegazioni, amici e parenti. Tutti, rispettando una rigida agenda di incontri, attendono il proprio “turno” per salutare, intervistare o semplicemente per stringere la mano ad Ahed Tamimi. Il simbolo della resistenza palestinese, scarcerata domenica da Israele, è tornata a casa dopo otto mesi in prigione assieme alla mamma Nariman, condannata alla stessa pena detentiva per aver filmato e postato sui social gli schiaffi dati dalla figlia a due soldati israeliani lo scorso dicembre. Basem Tamimi, padre di Ahed e noto attivista, è il più attento ai bisogni dei presenti. Trova comunque il tempo di chiederci informazioni sulla vicenda di Jorit Agoch, il writer napoletano detenuto dalla polizia israeliana e poi rimandato in Italia (non potrà ritornare in Israele e nei Territori occupati per i prossimi dieci anni) perché ha realizzato sul Muro che divide Betlemme da Gerusalemme un bellissimo enorme ritratto di Ahed Tamimi. La ragazza, 17 anni compiuti lo scorso gennaio, appare nel giardino qualche minuto dopo. Sul volto porta la fatica tre giorni passati tra centinaia di persone e sotto i riflettori di tutto il mondo. Dice di aver dormito poco. Però non rinuncia ad rispondere alle domande dei giornalisti.
Cominciamo dal giorno in cui hai preso a schiaffi i soldati israeliani.
Ero molto nervosa per quello che stava accadendo intorno a me. (Donald) Trump qualche giorno prima proclamato Gerusalemme capitale di Israele e i soldati israeliani avevano ucciso o ferito tanti palestinesi durante le proteste (seguite all’annuncio del presidente Usa,ndr). In più mio cugino Mohammed, poco più di un bambino, era stato ferito gravemente alla testa da un proiettile sparato dai soldati. Cose avvenute tutte insieme che mi hanno portato a reagire in quel modo nei confronti di chi occupa la nostra terra. Penso sia una reazione comprensibile da ogni persona costretta vivere le mie stesse esperienze. Comunque anche se avessi saputo che quel gesto mi avrebbe portato per mesi in prigione, avrei agito ugualmente in quel modo.
Le autorità israeliane ti definiscono una ragazzina aggressiva e con una storia di violenza.
Violenta piuttosto è l’occupazione israeliana che priva i palestinesi della libertà, che prende le nostre terre, demolisce le nostre case, uccide ragazzini o li mette in prigione. E ce ne sono tanti in carcere in questo momento in cui sto parlando che scontano delle condanne molto severe e non dobbiamo dimenticarli. Gli israeliani non hanno diritto di accusarmi e di accusare altri palestinesi di essere violenti. Allo stesso tempo penso che la nostra lotta si possa esprimersi in varie forme, anche diffondendo la nostra cultura, spiegando ai cittadini di altri paesi le ragioni e la storia del popolo palestinese.
Torniamo ai giorni successivi all’arresto. Durante gli interrogatori ti è stata assicurata la protezione che si deve ad una adolescente in stato di detenzione?
Non mi hanno mai trattata come un’adolescente e neppure come una adulta o come dovrebbe essere trattato qualsiasi essere umano. Mi hanno messo in cella con detenute per reati comuni, criminali che mi rivolgevano offese volgari. Durante gli interrogatori minacciavano di punire la mia famiglia. Non hanno mai permesso ai miei familiari di essere presenti e nella stanza dove di volta in volta venivo portata c’erano sempre solo uomini. In nessun caso una donna è stata presente agli interrogatori.
Sei molto giovane, la prigione ti avrà privata di tante cose.
Davvero molte. Prima di tutto gli affetti della famiglia. Mia madre era nella stesso carcere ma non potevo vederla perché si trovava in una sezione dove non potevo accedere. Mi è mancato passare del tempo e scherzare con mio fratello. Mi sono mancate le mie amiche, passeggiare assieme a loro. Sono state tante le cose che avrei voluto fare e non ho potuto. In carcere però ho studiato per non perdere l’ultimo anno delle superiori e sono riuscita a sostenere gli esami della maturità (dopo una serie di proteste negli anni passati, le autorità israeliane hanno concesso ai detenuti politici palestinesi di poter continuare gli studi in cella, anche se con modalità e condizioni molto particolari, ndr).
Come vedi la tua vita di adolescente nell’immediato futuro e da giovane adulta negli anni che verranno?
Sto vivendo una fase molto complessa. Ho vissuto un’esperienza dura dalla quale sono uscita molto provata. In questi giorni mi sento stanca e provo un malessere generale. Penso che l’occupazione israeliana e il carcere mi abbiamo preso una parte della vita e della giovinezza. Ho perduto sul piano personale qualcosa che non riuscirò a recuperare. Questo è il prezzo che tutti noi palestinesi siamo costretti a pagare a causa dell’occupazione . Malgrado ciò sono pronta a pagarlo se alla fine di questo tunnel c’è la liberazione del nostro popolo.
Credi che sia ancora possibile una soluzione giusta per i palestinesi?
La soluzione è tornare a prima dell’occupazione della Palestina quando gli ebrei e i palestinesi cristiani e musulmani vivevano in pace rispettandosi tra di loro. I problemi esistono a causa dell’ideologia sionista. I palestinesi non sono contro gli ebrei e l’Ebraismo ma contestano il Sionismo e l’occupazione.
Intendi che la soluzione è tornare al prima del 1948?
Anche più indietro perché prima del 1948 c’erano il colonialismo e il Mandato della Gran Bretagna. Prima di ciò, da quanto ho letto nei libri e ho ascoltato dai nostri anziani, esisteva una clima di pace e di ottime relazioni tra tutte le componenti della società.
Dopo la tua scarcerazione hai dichiarato che in futuro avrai un ruolo in politica, resterai indipendente o pensi di entrare in un partito politico?
Continuerò a partecipare attivamente alla lotta per i diritti del mio popolo ma non intendo unirmi ad alcuna forza politica. La Palestina e i palestinesi non appartengono a un partito o a un movimento politico.
Come giudichi le divisioni tra le forze politiche palestinesi, tra Cisgiordania e Gaza?
In modo del tutto negativo naturalmente. Queste divisioni e la rivalità non aiuteranno un alcun modo la nostra causa. Solo l’unità potrà dare ai palestinesi la libertà.
Proseguirai gli studi?
Senza dubbio. Non ho ancora deciso bene ma andrò all’università. Sono orientata a studiare diritto internazionale, perché credo che la conoscenza delle leggi internazionali potrà darmi gli strumenti per aiutare il mio popolo.
Quanto peserà sul tuo futuro la notorietà e il simbolo della resistenza all’occupazione che oggi rappresenti per tutti i palestinesi.
Sono la ragazza di sempre, non sono cambiata ma sento il peso sulle mie spalle di questa notorietà. Tuttavia è anche una grande opportunità che mi viene offerta, quella di diffondere informazioni su quanto accade nella mia terra, al mio popolo, e di parlare della condizione dei detenuti (palestinesi) nelle carceri israeliane.
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