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Agrumi, multiformi, letterari e rimescolati

Agrumi, multiformi, letterari e rimescolatiÉdouard Manet, «Quatre mandarines», 1882, Robert B. Mayer Family Collection

Un volume dal Saggiatore Da Teofrasto alla catastrofe climatica... Per Giuseppe Barbera gli «Agrumi», nella complessità biologica e culturale della loro evoluzione, tratteggiano una vera e propria «storia del mondo»

Pubblicato circa 7 ore faEdizione del 13 ottobre 2024

Mandarino, pomelo e cedro. Sulla base dell’analisi del genoma, sembrerebbe che oggi siano state finalmente individuate le tre specie ancestrali che avrebbero dato origine a tutti gli altri agrumi. Ma è proprio la multiforme biodiversità degli appartenenti a questo consorzio – da sempre implicati in un continuo rimescolamento di ibridi, mutazioni, varietà e manipolazioni indotte –, a costituire la costante che finisce per conformare la loro ingarbugliata, cangiante vicenda ecologica e culturale.
Dalle campagne produttive alle dinamiche dei mercati, agli usi alimentari, alla valenza estetica del corredo di sensazioni, sapori e profumi in cui si incappa per via di giardini e limonaie, per ritrovarli poi evocati in memorie, proiettati in romanzi e poesie, riflessi in dipinti, essenze profumiere, partiture musicali.
Il carattere della rifiorenza dei limoni, e della contemporanea presenza sulla pianta di fiori e frutti, è uno dei temi ricorrenti già con Teofrasto e poi nella letteratura, da Boccaccio, Ariosto, al Tasso del giardino di Armida. Come pure la particolarità della forma perfetta dell’arancia, del suo sapore come un fuoco d’artificio, nei versi di Apollinaire; del suo colore (Gadda la vuole «imbibita di tramonti»), così come del suo profumo: quello che avvolge e stimola alla scrittura Rousseau, o il condensato di fioriture delle campagne del Gattopardo racchiuso nelle tre gocce di bergamotto versate sul fazzoletto del principe Fabrizio.

Ma se è l’asprezza il tratto comune e ragione etimologica del termine ombrello per cedri, aranci, limoni che in italiano appare nell’Economia del cittadino in villa, 1644, del bolognese Vincenzo Tanara – Agrumi –, al centro del volume che oggi ci introduce al loro mondo per la penna di Giuseppe Barbera – dal perspicace sottotitolo braudeliano Una storia del mondo – è posto lo specifico di una loro mediterraneità (il Saggiatore, pp. 318, € 25,00).

Per mille ragioni più ampie, ma anche perché, come ci si spiega: «il clima mediterraneo subtropicale porta a maturazione, per l’equilibrio tra zuccheri e acidi, frutti di qualità irraggiungibile da quelli tropicali, dolciastri e senza contrasto organolettico».

Con uno sguardo d’insieme, dove botanica e agronomia si incrociano con la complessità di sistemi ecologici, strutture sociali, valori culturali ed estetici, Barbera si diffonde in un caleidoscopio di excursus che – come i suoi frutti – ricombina carotaggi e divagazioni.

Ripercorrendo i miti interpreti del metamorfico manifestarsi degli agrumi al seguito dei pomi d’oro del giardino delle Esperidi delle fatiche di Ercole per come questi – in piena riscoperta della classicità – verranno identificati da Giovanni Pontano proprio con gli agrumi, nel De hortis hesperidum del 1503. Con successiva consacrazione da parte di Giovan Battista Ferrari, gesuita e curatore dei giardini dei Barberini al Quirinale, che sulla base dei campioni raccolti nella sua esperienza correda di numerose, accurate tavole botaniche una sua trattazione pomologica.

È poi la complessa trama delle migrazioni degli agrumi a venir esplorata. Dalla Cina – dove nel XII secolo si riferisce di questioni di etichetta su come sbucciarli a corte – e dall’India a Gerusalemme, alle terre dell’antico Islam. Da lì ad al-Andalus, dove il patio de los naranjos della moschea di Cordoba, con i suoi alberi allineati tra canaline d’irrigazione, diverrà modello da replicare, fino alla Sicilia arabo- normanna. In percorsi e incroci di cui si riscontra traccia in tanti etimi, proverbi, canzoni popolari.

Mentre una vera e propria mania si profila nel clima di una nuova attenzione al mondo naturale della rinascimentale accademia neoplatonica e nei giardini medicei dove gli agrumi saranno oggetto di incontenibili collezioni. Occasione di celebrazione dinastica, come nel boschetto di aranci della Primavera del Botticelli, e misura delle prime ansie classificatorie che traspaiono dalle tele di Bartolomeo Bimbi, dove si fa ritratto di oltre un centinaio di agrumi, compresi di cartigli descrittivi.

Con la scoperta dell’America e il trasferimento incrociato di piante, animali e microorganismi tra i due mondi, da subito sono coinvolti anche gli agrumi. Già nel 1493 Colombo li porterà con sé nel suo secondo viaggio, dando avvio a una vicenda per cui il continente americano diverrà poi tra i maggiori produttori – e consumatori – di agrumi, ben davanti ai paesi mediterranei. Mentre nella dialettica tra nord e sud del vecchio continente, assurti a elemento emblematico del paesaggio mediterraneo, e della sua idealizzazione da parte di tanti viaggiatori in formazione negli anni del Grand Tour, gli agrumi sono evocati nel celeberrimo lead di Goethe Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni, musicato poi da Schubert, Beethoven e Schumann. Nonché, ricorda sempre Barbera, in opere come Carmen, Bohème, Cavalleria rusticana.

La passione o mania per gli agrumi combinata all’esigenza di proteggerli da temperature troppo rigide, specialmente ostili per limoni e pompelmi, produrrà il fiorire di ripari, conserve, cedraie, arancere, giardini d’inverno. A Versailles una galleria centrale di 155 metri è affiancata da due laterali e aperta sul gran parterre; nel giardino della neo-palladiana residenza di Lord Burlington a Chiswick una ricca messe di specie e varietà animano un Anfiteatro di agrumi.

E agrumi in vaso figurano anche sui balconi della Certosa di Parma di Stendhal. Ma a segnare paesaggi e immaginari saranno anche le architetture dedicate alla coltivazione – specialmente a scopi alimentari. Quelle ordinate su gradoni chiusi su tre lati da alti muraglioni nella terraferma veneziana e, soprattutto, gli spericolati terrazzamenti della riviera ligure e gli agrumeti produttivi della costa amalfitana e sorrentina all’ombra di pergole collegate al muretto della piazzola superiore.

Sul crinale tra paesaggi produttivi e culturali, il ruolo degli agrumi muta di segno con lo scarto tra frutto da ornamento nei giardini di piacere e coltura estensiva in vista di una produzione commerciale di ampia scala, capace di modificare i paesaggi fino agli eccessi speculativi o alla loro cancellazione, con le trasformazioni urbane e industriali. Resta da chiedersi non solo se, a corollario della loro instancabile mutevolezza e variabilità, e nella dialettica con i più recenti mutamenti climatici e dei sistemi produttivi, gli agrumi di oggi siano gli stessi del passato – bisognerebbe chiedere a Teofrasto, direbbe Barbera –, ma come domani… diverranno.

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