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Agrodolce vita con Marcello Geppetti

Agrodolce vita con Marcello Geppetti

Ultravista Una Galleria dedicata al fotografo di cui si sta portando alla luce il milione di scatti non solo sui divi ma anche sulla società e gli anni di piombo

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 20 luglio 2013

Si entra nella «Dolce Vita Gallery», in via Palermo 41, e l’esposizione ti accompagna lungo il fastoso mondo del cinema visto con lo sguardo di Marcello Geppetti, uno dei più importanti fotografi italiani. Una parete è interamente coperta da almeno duecento fotografie e l’immersione nell’epoca è totale, con le location predilette, i night, le trattorie, via Veneto, le spyder. Su altre pareti alcune gigantografie enfatizzano il concetto di divismo, quasi a contrapporsi agli scatti di fronte che svelano qualcosa di misterioso, frammenti di umanità: Sofia Loren che bisbiglia a De Sica, la Bardot con la segretaria, Audrey Hepburn sulla porta del negozio di frutta e verdura con il fularino in testa, John Wayne in posa in tutta la sua stazza sul bordo della fontana dell’Esedra tra i fotografi deliziati, con una di quelle giacche made in Italy che si faceva fare su misura dai nostri sarti, il principe de Curtis che ride di cuore mentre balla al night. Scomparso per un infarto nel 1998, proprio quando cominciavano ad arrivare le prime critiche lusinghiere dagli Usa, Geppetti ha il primato dello «scatto» più pagato al mondo, il bacio tra Richard Burton e Liz Taylor ai tempi di Cleopatra, prima che la tragica foto di Lady Diana nel tunnel gli strappasse il primato. Ma Geppetti non è stato solo uno dei fotografi di via Veneto, ha fotografato eventi epocali, da Tambroni agli anni di piombo, a cominciare dal cadavere di Wilma Montesi trovato sulla spiaggia di Castelporziano. La sua prima foto fece epoca, la donna che si lancia dall’Hotel Ambasciatori in fiamme in una notte del ’59, immagine ripresa ovunque e che ricevette la scomunica dell’Osservatore romano. Dopo questo avvenimento Geppetti iniziò a prendere posizione e iniziative che sfociarono nella fondazione dell’Airf, l’associazione dei reporter fotografi, per far avere anche ai fotografi la qualifica di giornalisti e con quella anche il diritto di cronaca, altrimenti negata. Nella «Dolce vita Gallery» è in esposizione solo una piccola parte del tesoro che ha lasciato Geppetti: «Abbiamo già fatto esposizioni della parte riguardanti la «Dolce vita» a Toronto, a Parigi, al Museo del cinema di Torino e quest’anno a Madrid, ci racconta Andrea Dezzi della «Made in Tomorrow», società che si occupa di valorizzare beni culturali, «le fotografie di Geppetti erano conosciute soltanto in minima parte, circa un migliaio che riguardavano la dolce vita. Quando abbiamo preso in mano l’archivio con la famiglia di Geppetti abbiamo creato la società congiunta «Marcello Geppetti Media Company» e ci siamo accorti che i negativi erano oltre un milione e che non si trattava solo di dolce vita, ma di tutto quello che era successo a Roma, storia, cronaca, sport, politica, anni di piombo, contestazioni, c’è di tutto. La parte più commerciabile è comunque la dolce vita, perché il nostro è un paese che appena si parla dei risvolti storici improvvisamente non ci sono più soldi. Ci sono foto bellissime, c’è un campionamento della vita italiana che vorrei proporre con il nome di «Status quo», la lettura di come in questo paese sono accadute alcune cose per non fare cambiare niente: gli episodi di violenza, le manifestazioni, Lama all’università, l’uccisione di Giorgiana Masi». Le foto che si vedono in galleria mostrano i personaggi nella loro vita sorprendentemente quotidiana: «C’è una foto dove si vede una diva che ridendo passa per via Veneto e inquadrati con la stessa importanza ecco due ragazzetti che si stanno dividendo una cicca gettata da uno di questi attori: il glamour e la vita normale. È molto interessante vedere quello che succedeva in Italia in quel periodo con il governo Tambroni: la carica con i carabinieri a cavallo a Porta San Paolo guidata da d’Inzeo vincitore delle Olimpiadi e poi foto fantastiche della «rivolta delle magliette a righe» con Pertini a Genova, le stesse magliette americane che portavano i camalli e che indossavano anche Jacqueline e Brigitte Bardot. Il paese è in fiamme, moriva un sacco di gente. Le foto le aveva ma non le pubblicava, certo non facevano uscire le più cruente: gli idranti a San Paolo uscivano, ma dove c’è sangue no. Geppetti era di area socialista, ma come fotografo era neutrale, fotografava tutti, anche Almirante all’università». Anche quelle della dolce vita non le pubblicavano tutte, ci sono scatti mai visti: «Gli scoop sì, e in tutto il mondo, come ’il bacio’ Anita Ekberg che esce dalla villa minacciando i fotografi con arco e frecce – e lui ne aveva conservata una di quelle frecce – c’era anche inflazione di paparazzi, lui ne piazzava cinque o sei in una settimana, ma ne aveva scattate almeno mille. Carla Gravina che fa un giro al Mandrione nel ’59 e se togli lei il Mandrione è come nell’800. O la prima isola pedonale a Roma, con il vigile che non sa se far entrare a piazza di Spagna il carretto a tre ruote. Sono foto strepitose, quelle che chiamiamo «B Side» della dolce vita. Le foto sono molto più richieste all’estero che in Italia dove non c’è una grande cultura della fotografia, infatti l’archivio di Secchiaroli sta sparendo, Alinari non c’è più. Noi siamo riusciti in due anni a comprare i macchinari, abbiamo scansionato 50 mila fotografie». Le vostre foto si possono comprare? «C’è una prima categoria di foto in serie limitata di cui si possono fare solo sette copie e sono le più famose (di quella della Bardot sul set di Godard ne sono rimaste solo due), poi quelle della serie non limitata e poi i poster su carta non fotografica. Il 90% delle foto le vendiamo in Francia dove avere una stampa di qualità in casa è come avere un quadro, come anche negli Usa. Un albergo di Milano Marittima ci ha chiesto le foto dei musicisti per arredare la sala piano bar. C’è Ray Charles, Aretha Franklyn, i Rolling Stones, i Beatles, Morandi a 15 anni. Jimi Hendrix nel ’67 che non lo conosceva nessuno, viene al Bracaccio ed è pubblicizzato come chitarrista blues, con il pubblico in sala in giacca e cravatta che si trova di fronte Hendrix, i Procol Harum, l’esordio al Piper di Patty Pravo, la prima foto sul palco che non sembra neanche lei, Hair al Sistina nel ’68 con un cast italiano con Renato Zero, Teo Teocoli e la Berté nel balletto, e in una scena dovevano ballare nudi, figurarsi gli uomini nudi nel ’68, e arriva la polizia. Nel ’72 c’è la famosa foto della ragazza arrestata a Piazza di Spagna per un bacio (arrestano solo lei): dopo la contestazione comincia la repressione, per arrivare poi alla liberalizzazione sciocca degli anni ’80 con le televisioni commerciali». Sarebbe bello poter raccontare tutto questo in libri dedicati ad anni cruciali: «anche le edizioni storiche sono in crisi, in Italia c’è una concentrazioni di poteri con il meccanismo delle fondazioni, una razzia del bene comune feroce, per questo stiamo cercando uno stile che ci mantenga liberi, vendere al pubblico soprattutto straniero, e per questo abbiamo inventato questa Galleria, come luogo di incontri, per presentare altri momenti della vita del paese. È venuto a trovarci in archivio il direttore del fotografico del Beaubourg perché era interessato alle foto dei paparazzi in quanto tecnica fotografica: mi dovete spiegare, ha detto, come facevano con quelle macchinette e con quei flash a fare quelle foto con quei contrasti, quella qualità, quella messa a fuoco, perché nessun’altra scuola fotografica al mondo è stata capace di fare questo. Ci sono un paio di foto emblematiche: quelle di Doisneau sono foto preparate, queste sono foto rubate, dopo dodici scatti dovevi cambiare rullo e potevi perdere l’attimo. Ha detto che voleva queste foto al Beaubourg come esempio di tecnica italiana, anzi prettamente ’romana’ come parte della scuola della fotografia. È assurdo che in Italia non si sia potuto fare un discorso del genere, noi l’anno scorso non siamo neanche riusciti a farci ricevere dal sindaco. Ci ha detto anche: come francese non sono tanto interessato alla storia italiana però mentre gli anglosassoni hanno una lunga tradizione di foto di guerra, i francesi una tradizione di queste foto ’alla Doisneau’, fotografie di «atmosfera», voi italiani avete avuto gli anni di piombo, una cosa unica in Europa, la guerra in casa e avete le foto di questa guerra in un paese occidentale, un reportage di guerra unico».

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