Avevamo già capito che la Corte dei conti europea era capace di tirare le orecchie agli Stati membri e alla Commissione su diversi argomenti. Per quanto riguarda il settore agricolo non si sono fatte attendere le sue prese di posizione ad esempio sulla Pac (politica agricola comune) che rappresenta oltre il 30% della spesa del bilancio dell’Ue. La Corte l’aveva bocciato nel 2020 per la sua iniquità distributiva evidenziando che l’80% dei fondi erano finiti al 20% delle imprese agricole. Aveva bocciato l’impegno per il clima della Pac nel 2021 perché non emergevano sufficienti elementi in grado di sostenere un percorso finalizzato alla neutralità climatica. Non basta, infatti, porsi obiettivi ambiziosi, bisogna trovare gli strumenti per monitorare il percorso in modo da garantirne il raggiungimento. Occorre individuare gli indicatori efficaci per rispondere alle verifiche intermedie ed evitare di trovarsi, alla fine del percorso, con un pugno di mosche in mano. Pochi giorni fa, la Corte che ha rifatto i conti della Commissione ha dimostrato che un terzo dell’investimento economico che viene attribuito alle politiche per il clima nella programmazione 2014-2020 non ha un reale effetto sul controllo del cambiamento climatico. E trattandosi di azioni che valgono più di duecento miliardi di euro, quel terzo non è poca cosa.

Proprio sugli indicatori, e non solo, è scivolato il Piano strategico nazionale del nostro Paese, restituito al mittente dalla Commissione europea perché non ha dimostrato la possibilità di monitorare il raggiungimento progressivo degli obiettivi. Evidentemente c’è un problema di fondo che nasce dalla diversa prospettiva con cui si guarda alle politiche finalizzate alla neutralità climatica. È oramai evidente che giocare a modulare una norma inserendo qualche elemento di maggiore sostenibilità non gioca a favore di risultati efficaci perché i numeri sono implacabili e alla fine i risultati non mostrano effetti rilevabili. Alla gravità della crisi climatica e alla necessità di cambiamento sembriamo indifferenti. Il Pnrr aveva tutte le carte per un cambio di passo. Potevamo generare il cambiamento dando una scossa, a partire da cibo e agricoltura che sono gli strumenti più efficaci per agire.

Oggi invece viviamo una condizione singolare. L’invasione della Russia in Ucraina ha completato quella fase di destabilizzazione che era già in corso, soprattutto sul piano energetico con inevitabili ricadute. Dal punto di vista agricolo, torna con prepotenza la parola carestia su scala globale, si prospetta una condizione di scarsità di prodotti che stanno alla base della dieta di moltissimi popoli e tutto questo, seppure tocchi marginalmente il nostro Paese, coinvolge tutte le economie globali e attiva tutti i processi speculativi di settore. Ed ecco subito la reazione. Raramente la reazione umana riesce a svilupparsi sulla base di un equilibrio tra razionalità e impulso. Quanto meno all’inizio, l’impulso ha il sopravvento. Il nostro Paese ha recentemente messo sul piatto una serie di iniziative legate al tema della autosufficienza alimentare che sono apparse derivanti più dall’impulso che dalla razionalità. E l’impulso continua ad avere il sopravvento. Basti pensare alle mozioni approvate alla Camera qualche settimana fa per leggere una serie di impegni al governo che lasciano stupefatti. Dalla richiesta di proroga dell’entrata in vigore della Pac, alla rimozione dei vincoli sull’acqua per irrigazione, a rimettere a coltura le aree ecologiche, alla diffusione delle colture indipendentemente dalla vocazionalità ambientale, a ricorrere alle varietà modificate…

Come possiamo pensare che gli auspici di neutralità climatica possano essere raggiunti se il cambio di prospettiva segue l’impulso e non la razionalità? In questo momento di destabilizzazione, va assolutamente evitato che la visione produttivistica «ad ogni costo» prenda il sopravvento. Il nostro paese deve fare la sua parte, l’Europa la propria. L’obiettivo è riportare il baricentro verso modelli di sostenibilità in cui le diversità diventino strumenti di resilienza, cercando di fare ogni sforzo contro l’omologazione, che non è un modello di sostenibilità. Guardare dunque a politiche di vero contrasto al cambiamento climatico, anche in questo momento complesso, significa garantire che gli investimenti europei siano efficaci e che per una volta sia la razionalità a prendere il sopravvento con lungimiranza per le comunità e per le risorse naturali.