Agniewska Holland e Aïssa Maïga, a Firenze «Cinema e donne»
Evento speciale dell’estate fiorentina, la consegna del Sigillo della pace, antica onorificenza della città di Firenze, sarà consegnato il 20 e 21 settembre alla regista Agniewska Holland e all’attrice e documentarista Aïssa Maïga. La cerimonia anticipa il festival «Cinema e donne» del Laboratorio Immagine donna che si terrà poi a novembre (dal 24 al 27). La manifestazione rischiava la cancellazione per mancanza di sostegno istituzionale nonostante le sue quarantadue edizioni, ma si terrà, grazie a una mobilitazione, iniziata con una lettera aperta di Margarethe von Trotta, cittadina onoraria di Firenze inviata al Ministro della Cultura, al Presidente della Regione Toscana, al sindaco Nardella, a cui hanno aderito numerose autorevoli personalità della cultura. L’evento della consegna del premio si terrà al cinema La Compagnia alle ore 21, anticipato dall’incontro con le autrici alle ore 19 (ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria).
Agniewska Holland
Celebre cineasta di origine polacca Agniewska Holland (premiata per il film a soggetto il 20 settembre) è diventata famosa fin dal suo esordio, e ha mantenuto intatto l’interesse fino al suo recente Mr Jones che anticipa le problematiche legate all’Ukraina. Voce limpida di un’Europa dalle numerose contraddizioni, di lei ci parlò per la prima volta Andzej Wajda, all’epoca di quella splendida stagione del cinema di Solidarnosc a cui partecipava una nuova generazione di cineasti e a cui si accostò anche lui con autentica curiosità da intellettuale sempre aperto ai cambiamenti epocali: la Holland che dal ’71 aveva fatto parte del suo gruppo di produzione «X» e in seguito era stata sua aiuto regista e sceneggiatrice, diceva, lo aveva aiutato a comprendere la prospettiva con cui la nuova generazione guardava alla società, all’inquietudine che esprimeva, ai film che realizzavano capaci di trasformare le sale in assemblee permanenti. Quando alcuni anni dopo abbiamo ricordato alla Holland le parole del «maestro» ci ha risposto, minimizzando, che Wajda era una persona molto aperta, che ascoltava tutti. «È anche vero che abbiamo molto collaborato, e parlato. Penso che ho imparato da lui e lui ha imparato qualcosa da me. Quello degli anni Ottanta è stato un cambio di generazione difficile da ripetere oggi, un cambiamento interessante». Non si deve sottovalutare la sua vena ironica, alimentata certo dalla sua formazione alla Famu di Praga, con professori come Kachyna e Klos, Ewald Schorm e Milan Kundera insegnante di sceneggiatura, in quella generale atmosfera irriverente nei confronti dell’autorità, scuola frequentata all’estero perché persona non grata per motivi politici legati alla sua famiglia. Nonostante non le fosse permesso neanche di firmare sceneggiature, grazie al sostegno dei suoi autorevoli maestri (Zanussi le offrì il suo primo lavoro) firmò la sceneggiatura di Film Blu di Kieslowski, Un amore in Germania e Korczak di Wajda. Attori di provincia il suo esordio nel lungometraggio fu accolto a Cannes con il premio Fipresci della critica internazionale dando il via a una carriera ininterrotta di dimensione internazionale, (Un prete da uccidere, Europa Europa, Olivier Olivier) una nuova visione classica di grande interesse. Ha vissuto a Parigi durante il periodo di legge marziale, è stata chiamata negli Usa da Coppola per realizzare Il giardino segreto, lavora tra Varsavia e gli Usa.
Il devastante In Darkness (2011) ambientato sotto l’occupazione nazista, ma ancora di più nelle profondità dell’animo umano esemplifica un cinema non illustrativo, che guarda sempre un po’ avanti: «Non ho fatto film sul passato, ma sul presente cercando di dare una risposta alle domande contemporanee con un approccio non nostalgico». La sua curiosità creativa l’ha portata ad esplorare in anticipo rispetto ad altri registi la serialità televisiva, The Wire (2004-2008), dal 2004 al 2009 la serie Cold Case (Casi irrisolti), The Killing (2011) per Fox Crime, Burning Bush (2013) sul caso Jan Palach e le minacce che colpirono la sua famiglia dopo la sua morte, la miniserie Rosemary’s Baby (2015) dal romanzo di Ira Levin che ha ispirato il film di Polanski, tra gli ultimi lavori 1983 per Netflix dove la detective story si unisce a quello della politica, dei delitti di stato, titolo che indica l’anno della proclamazione della legge marziale da parte di Jaruselski.
Aïssa Maïga
Attrice di origine maliana e senelgalese, Aïssa Maïga (premiata per il documentario il 21 settembre) è stata interprete del cruciale Bamako di Abderramane Sissako, con cui ha ricevuto la nomination ai César – prima attrice di origine africana a riceverlo – e di più di cinquanta film tra cui La schiuma dei giorni di Michel Gondry, Bianco e nero di Cristina Comencini, Corniche Kennedy di Dominique Cabrera e dei film di Yvan Attal, Tanner, Klapisch, Haneke.
Attrice di successo, è anche una militante contro la discriminazione razziale nell’industria cinematografica e nei media fondatrice del collettivo «Diaspor Act» per segnalare la scarsità di presenze di attori di origine africana nel cinema francese, che offre pochi ruoli stereotipati. «Mi sono spesso chiesta perché sono una delle poche attrici nere a lavorare in un paese misto come la Francia». Nel suo libro di grande successo Noire n’est pas mon métier (ed. Séuil) sviluppa una descrizione dettagliata dei tanti esempi di razzismo, dai casting al set.
Il collettivo «Diaspor Act» si è fatto notare in occasioni speciali come il festival di Cannes, quando nel 2018 ha organizzato una pacifica protesta antirazzista o ai César del 2020 quando, presentatrice del premio alla migliore promessa del cinema francese (quell’anno vinto da Lyna Khoudri in Papicha), ha spiazzato il pubblico perché invece dei soliti convenevoli ha pronunciato un discorso di denuncia facendo notare che in sala su 1600 ospiti solo 12 erano di origine africana e come il cinema ignorasse sistematicamente le loro storie. Per terminare così: «Siamo sopravvissuti alla sbiancatura della pelle, a tonnellate di ruoli da spacciatori, governanti con accento da Bwana, siamo sopravvissuti ai ruoli di terroristi, a tutti i ruoli di ragazze ipersessualizzate… ma non lasceremo il cinema francese da solo». È passata dietro la macchina da presa con Regard noir (2021) firmato con Isabella Simeoni, documentario che raccoglie testimonianze da Los Angeles alla Francia sulla rappresentazione delle donne di origine africana e Marcher sur l’eau presentato a Cannes 2021, che affronta i problemi della siccità nel Niger del nord.
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