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Agnieszka Holland, quello sguardo differente che trasformò il cinema

Agnieszka Holland, quello sguardo differente che trasformò il cinemaAgnieszka Holland (Varsavia, 1948) negli anni settanta

Intervista La più internazionale dei registi polacchi racconta l'epoca della censura

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 9 novembre 2019

Accanto ai nomi autorevoli del cinema polacco, Andrzej Wajda circondato dalle sue truppe come un generale, Zanussi esperto nelle più sottili diplomazie, Kieslowski celebrato come un profeta per il suo Decalogo sintesi suprema di cinema, politica e mobilitazione, Agnieszka Holland era comparsa sulla scena del cinema come rappresentante di una nuova generazione critica e decisa, diventando in seguito uno dei nomi più conosciuti del cinema polacco e internazionale fin dal suo esordio Attori di provincia (1978), con Europa Europa, Il giardino segreto, In Darkness nominato agli Oscar, Orso d’oro a Berlino con Spoor (2017). Lo stesso Wajda ne fu impressionato, confessò che visione delle cose di quella sua giovane assistente e in seguito collaboratrice alle sue sceneggiature, gli avevano fatto cambiare prospettiva rispetto a quello che stava succedendo, di vedere le cose in modo differente in quell’epoca storica di passaggio che avrebbe fatto esplodere il cinema e il movimento di Solidarnosc: «Wajda era una persona molto aperta, commenta Agnieszka Holland, ha ascoltato non solo me, ma anche gli altri giovani cineasti che avevano una visione diversa. È anche vero che abbiamo molto collaborato, e parlato. Penso che ho imparato da lui e lui ha imparato qualcosa da me. Quello degli anni Ottanta è stato un cambio di generazione difficile da ripetere oggi, un cambiamento interessante.

Tra i film censurati in programma a Ciak Polska c’è L’Interrogatorio di Bugajski dove compare anche lei come interprete.
È stato un film vietato fino al 1990, anche se era stato terminato nel 1982, prodotto dal gruppo X di Wajda agli inizi di Solidarnosc. Quando il film fu terminato Solidarnosc non esisteva più, c’era lo stato di guerra di Jaruselski, il film fu proibito. Io in quel momento ero emigrata in Francia e il film fu mostrato soltanto alla caduta del comunismo polacco. Krystyna Janda fu premiata a Cannes per la sua interpretazione. Io in questo film ero consigliere artistico e Wajda ha voluto che fossi io a controllare, anche perché il film era assai rischioso da un punto di vista politico. Ho anche interpretato un ruolo perché nessuna delle attrici voleva interpretare una comunista e così l’ho dovuta fare io. In questo film non ho partecipato alla sceneggiatura anche se nel Gruppo X si discuteva su ogni sceneggiatura e in qualche modo ho collaborato.

Perché lei è andata a studiare a Praga? La Famu è una scuola famosa, ma Lodz non è da meno.
C’erano varie ragioni, anche ragioni di famiglia perché mio padre era stato vittima di una convocazione politica ed è morto nel corso di un interrogatorio, caduto da una finestra, un fatto molto conosciuto così che il nostro cognome era sotto «alta sorveglianza». La situazione in Polonia nel ’66 quando ho deciso di studiare il cinema dopo la maturità era precaria, c’era un’ondata montante di antisemitismo, un’ondata di recrudescenza all’interno del partito comunista. Lodz era sotto sorveglianza e praticamente non mi avrebbero ammessa se non dopo due o tre anni di università e io non volevo fare altri studi, volevo entrare subito nella scuola di cinema. Inoltre in quel periodo il cinema polacco era in crisi, mentre il cinema ceco era assolutamente fantastico, esprimeva una tale quantità di novità artistiche.

I film di Menzel, Forman, Chytilová, Schorm, Passer si potevano vedere in Polonia?
Li abbiamo visti nei cineclub, nei festival. Praticamente li ho visti tutti prima del mio arrivo a Praga. Kachina e Klos sono stati i miei professori, i professori che adoravamo erano Ewald Schorm e Milan Kundera che insegnava sceneggiatura e storia della letteratura e sono stati gli insegnamenti che più mi hanno ispirato nella mia vita.

Attraverso lo stile metaforico tipico del cinema polacco voi avevate la possibilità di dire qualunque cosa, ma la censura colpiva ugualmente.
C’erano film proibiti. La regola che non si poteva rompere era chiara: non si doveva essere troppo critici nei confronti della realtà politica o della realtà sociale, non si poteva criticare direttamente o indirettamente l’Urss o il partito comunista. Ogni film contemporaneo o storico che poteva essere considerato come metafora veniva colpito duramente dalla censura. Di film vietati non ce n’erano molti, ma i film massacrati dalla censura erano praticamente tutti per i tagli a cui venivano sottoposti. Si era sviluppata una strategia perché si sapeva dove avrebbe colpito la censura e si giravano di proposito alcune scene destinate ad essere tagliate allo scopo di distogliere l’attenzione dall’impianto generale del film. Normalmente funzionava, ma a volte non funzionava per niente e i film erano bloccati.

A proposito del suo film in programma a Ciak Polska, «Una donna sola» porta due date: 1981-1987, quindi un lungo periodo di blocco del film. Qual era la principale critica che veniva fatta visto che sembrerebbe una storia di vita comune di una donna con un figlio?
Dicevano che nella Polonia comunista non esistevano situazioni del genere, cioè problemi sociali, la disperazione della gente, l’indifferenza delle autorità, la povertà. È stata considerata una critica diretta della società comunista. C’erano dettagli passati direttamente alla censura, come quando costeggia una manifestazione contro la censura o quando si reca al comitato del partito comunista per chiedere aiuto ed è mandata via, o nello scompartimento del treno dove ci sono ammucchiate e in piedi persone stanche alla fine della giornata di lavoro e dei soldati russi seduti negli scompartimenti. Queste scene era evidente che sarebbero state tagliate. Si è conservata la versione non censurata, ma il problema principale è stato che le autorità non hanno voluto che si mostrasse un paese così povero, disperato e dove non esiste solidarietà e l’aiuto delle autorità. L’immagine così dura e oscura della società non poteva passare.

Il film è ambientato a Breslavia, in provincia la povertà era maggiore?
La povertà era dappertutto, anche in una parte di Varsavia, soprattutto in un quartiere chiamato «Praga», anche se come stato sociale c’erano degli aiuti e dei servizi gratuiti. Anche i miei colleghi e lo stesso Wajda sono rimasti scioccati quando hanno visto quelle immagini, loro non erano certo ricchi perché era praticamente impossibile in quel sistema dove se qualcuno aveva un’auto privata era segno di ricchezza, ma non si conoscevano i bassifondi della società. Io li conoscevo perché ho fatto molte ricerche e accompagnavo dappertutto mia madre che era redattore capo di una rivista per i giovani della campagna.

Tutto quello che non si poteva dire è stato poi detto dai registi della generazione di Solidarnosc. Cosa ricorda di questo periodo?
Registi come Falk, Bugaiski, lo stesso Kieslowski che ha fatto in quel periodo film importanti per noi come Amator, La tranquillità (Spokoj) film molto più forti di quelli fatti poi all’estero. Anche lui ha subito la censura su parecchi documentari, due o tre non sono mai stati mostrati e il lungometraggio Spokoj non è stato fatto vedere per otto anni, proprio come Una donna sola.

E Wajda raccontava che la sceneggiatura dell’«Uomo di marmo» era rimasta nel cassetto per anni.
Sì, per tredici anni, e poi finalmente è stato realizzato grazie a un ministro della cultura che era estremamente liberale in confronto agli altri burocrati.

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