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Agitu Ideo Gudeta, era il nostro simbolo per la terra senza frontiere

Agitu Ideo Gudeta, era il nostro simbolo per la terra senza frontiereAgitu Ideo Gudeta – Ansa

Il ricordo di Slow Food Ciò che l’ha resa un simbolo per molti non è il colore della pelle, ma i suoi valori: credeva nella dignità del lavoro, della terra e delle persone

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 31 dicembre 2020

Agitu Ideo Gudeta allevava capre, produceva formaggi e coltivava ortaggi. Lo faceva a Frassilongo, nella valle dei Mòcheni, una ventina di chilometri da Trento, il luogo dove aveva deciso di trovare rifugio dalle minacce ricevute in Etiopia, dov’era nata 43 anni fa.

Il Trentino-Alto Adige era la sua seconda casa. E questa valle, questo paesino di meno di quattrocento abitanti che in gran parte parlano la lingua mòchena, il suo quartier generale: un’azienda agricola biologica, chiamata La capra felice. Agitu Ideo Gudeta è stata uccisa il 29 dicembre, a tre giorni dal suo compleanno.

Il suo progetto, avviato nel 2010, era chiaro: recuperare terreni abbandonati e riprendere l’allevamento di razze rustiche locali. In dieci anni le capre felici sono diventate 180: alcune di razza pezzata mochena (a rischio estinzione e inclusa nell’Arca del Gusto Slow Food) e altre di razza camosciata delle Alpi: nel piccolo caseificio dell’azienda si producono formaggi, principalmente. E poi lo yogurt, e anche i prodotti di cosmesi ricavati dal latte caprino.

Rimangono loro – le capre – e anche le galline, una cinquantina. E poi l’agriturismo sociale, la bottega aperta di recente in centro a Trento, i progetti di far nascere una fattoria didattica nei locali che un tempo erano stati l’asilo di Frassilongo. Ma più di tutto rimane l’esempio di una donna forte. «Intraprendente, determinatissima, un animo buono» così l’ha descritta Sergio Valentini, portavoce di Slow Food Trentino-Alto Adige Südtirol.

Già, perché di Slow Food Agitu è un simbolo. Un po’ per la battaglia combattuta in Etiopia contro il land grabbing, che le era costata le minacce e la necessità di lasciare il suo Paese, e un po’ per ciò che ha fatto in Italia: quell’impegno fatto di lavoro nella terra, di tutela della biodiversità, di produzione di formaggi naturali, cioè latte crudo e fermenti auto prodotti. Cinque anni fa, nel corso dell’edizione 2015 di Cheese a Bra, Slow Food le aveva assegnato il Premio Resistenza Casearia con questa motivazione: «Perché la sua storia è esempio di coraggio, di integrazione e di riscatto, ma anche di fiducia e di spirito di accoglienza».

Nereo Pederzolli, ex giornalista Rai e tra i primi a portare la filosofia di Slow Food in Trentino, l’ha ricordata così: «L’allegria di Agitu era contagiosa, nutriva la voglia di superare ogni barriera, qualsiasi discriminazione. Ha sempre dato fiducia a tutti, è stata antirazzista nel vero senso della parola».

Ciò che l’ha resa un simbolo per molti, però, non è il colore della sua pelle, bensì i suoi valori: era un’imprenditrice e «credeva profondamente nella dignità del lavoro, della terra e delle persone» come ha raccontato Angelo Carrillo, fiduciario di Slow Food Alto Adige. Noi di Slow Food, speriamo insieme a tanti altri, troveremo presto il modo per ricordarla e per portare avanti l’esempio del suo lavoro, del suo impegno, per far conoscere la sua storia.

L’autore fa parte di Slow Food

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