«After Love», perdersi e ritrovarsi condividendo l’assenza
Intervista Conversazione con il regista Aleem Khan in occasione dell’uscita nelle sale del suo primo lungometraggio, l'incontro tra culture attraverso il lutto di due donne
Intervista Conversazione con il regista Aleem Khan in occasione dell’uscita nelle sale del suo primo lungometraggio, l'incontro tra culture attraverso il lutto di due donne
«Non possiamo mai avere qualcuno nella sua interezza» afferma Aleem Khan, regista e sceneggiatore all’esordio nel lungometraggio con After Love, dal 10 febbraio nelle sale italiane. La profonda disperazione di Mary per la perdita del marito Ahmed si complica con la scoperta di un’altra vita che l’uomo nascondeva appena al di là della manica, a Calais. La donna, interpretata da Joanna Scanlan, è un personaggio commovente ed enigmatico, una signora inglese che ha scelto di convertirsi all’islam per condividere l’interezza dell’esistenza – proprio quella che sfugge nonostante tutto – con il proprio compagno. Il confronto con Geneviève, l’amante francese, è complesso e passa attraverso momenti di consapevolezza del proprio corpo e aspetto fisico. Nonostante il mondo si stia sgretolando Mary rimane se stessa con una fierezza non ostentata, ed è proprio sui temi complessi dell’identità e dell’accettazione che Khan si interroga. Il regista, di origine inglese e pachistana, osserva l’incontro tra culture da un punto di vista privilegiato e ne rende conto in maniera non banale né retorica, riportando la radice della questione al comune sentire di essere umani al di là delle apparenze che operano una separazione. Abbiamo raggiunto il regista al telefono per farci raccontare qualcosa di più sul film.
«After Love» inizia con un’assenza, quella di Ahmed, con cui i personaggi devono confrontarsi. Cosa rappresenta per te questo vuoto?
L’assenza di Ahmed è come un’enorme ombra, ed è lì che prende forma la storia. Quando perdiamo qualcuno di importante è come se vivessimo a tutti gli effetti nella sua ombra, ne veniamo quasi consumati rendendo questa persona ancora più presente nelle nostre vite. Ahmed, una volta scomparso, si trasferisce nei vestiti, negli oggetti, nelle pietanze. Il film esplora questo processo, mentre Mary cerca di comprendere il tradimento comunica con il marito in nuovi modi.
L’incontro tra culture diverse è uno dei temi principali del film, come lo hai affrontato?
Spesso ci capita di giudicare le persone e di avere delle idee preconcette su come si comporteranno, una volta che le abbiamo inquadrate in uno schema. Volevo che il film sovvertisse queste aspettative. Credo infatti che molti giudicheranno Mary in quanto donna inglese convertita all’islam e avranno delle idee su che tipo di persona sia. Volevo che la storia sfidasse questi
preconcetti, e lo stesso vale anche per l’amante Geneviève, con gli stereotipi che questo ruolo porta con sé. Le due donne sono sorelle in qualche modo, come Dover e Calais che si guardano l’un l’altra. Entrambe hanno traumi simili e affrontano un senso di perdita, per questo volevo che apparissero molto diverse da un punto di vista fisico ma che, appena
grattata la superficie, emergesse il terreno comune. Ho scritto il film durante i negoziati per la Brexit, quando era forte la crisi dei rifugiati e c’era molta diffidenza nei confronti delle persone che hanno un aspetto diverso dal proprio, era ciò che volevo combattere.
Un’aspettativa errata di questo genere potrebbe essere quella secondo cui Mary, una volta morto il marito e scoperta la sua seconda vita, abbandoni la fede islamica.
È una possibilità che uno spettatore occidentale potrebbe avere in mente e il fatto che lei non lo faccia spero che metta in questione anche il perché si sia ipotizzata: lo si è fatto perché si considera l’islam come qualcosa di «altro», di estraneo. Per Mary non è così, lei ha una convinzione genuina e non le interessa rendersi intellegibile o giustificare perché è un’islamica, la sua fede è profonda nonostante sia un personaggio complesso.
Il film indaga diversi temi che hanno a che fare con la tua biografia, cosa ha comportato per il lavoro di scrittura?
After Love non è autobiografico in senso stretto ma è molto vicino a me perché si confronta con domande che mi riguardano come quelle sull’identità. Mia madre è bianca ed è convertita all’islam quindi è stata un’ispirazione ma la storia per il resto è di finzione. Penso che la bellezza del cinema sia proprio quella di potersi rivelare nascondendosi al tempo stesso, si esprimono parti molto profonde di se stessi attraverso la protezione dei personaggi.
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