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«Africa, il cuore di un nuovo mondo»

«Africa, il cuore di un nuovo mondo»Murale a Kibera, Nairobi, in Kenya – Ap

Intervista Con una dichiarazione in 10 punti, promossa dal Club di Roma per i 50 anni del rapporto «I limiti della crescita», il continente chiede un ruolo da protagonista per il futuro del Pianeta. Intervista a Mamphela Ramphele

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 8 settembre 2022

Fin dal preambolo, la dichiarazione Afrik-Akili (letteralmente senso dell’Africa, in lingua swahili) promossa dal Club di Roma è una celebrazione dell’Africa, dei suoi popoli, delle sue ricchezze e del suo ruolo nel mondo, per il presente e per il futuro. E un invito che i popoli di quel continente (diaspora compresa) simbolicamente rivolgono al resto del mondo per un riconoscimento reciproco.

Il primo punto afferma: «L’Africa è il luogo di nascita dell’umanità e crediamo che tutti gli esseri umani condividano un’umanità comune». E il senso del manifesto in dieci punti ci viene illustrato da Mamphela Ramphele, co-direttrice del Club di Roma dal 2018. Sudafricana, medico, attivista, autrice, già fondatrice insieme a Steve Biko del Movimento per la consapevolezza nera e in seguito fra i fondatori della Nelson Mandela Foundation. Ha ricevuto molti premi per il suo impegno in progetti a favore dei popoli marginalizzati.

Perché il Club di Roma ha scelto di celebrare con questa Dichiarazione i 50 anni del rapporto «I limiti della crescita»? 

All’epoca le voci africane non erano presenti. Con questi dieci punti affermiamo che l’Africa è pronta ad assumere il posto che le compete nelle questioni mondiali e a impegnarsi per affrontare la complessità dei problemi. Il suo popolo è pronto a tessere e vivere la propria narrativa.

Leggiamo: «L’antica saggezza dell’Africa è a disposizione del suo futuro e al servizio dell’umanità. Racchiude un’enorme ricchezza e ispirazione per favorire l’emergere di nuove civiltà». Le nuove civiltà devono essere civiltà di pace. L’Africa, come grande corpo non allineato, potrebbe diventare anche negoziatore nelle crisi internazionali, come non le è stato permesso nel caso della guerra della Nato alla Libia, nel 2011?

La dichiarazione Afrik-Akili abbraccia tutte le questioni esistenziali che l’umanità deve affrontare, la geopolitica, la cultura, i principi etici che definiscono il significato di essere umano. Il continente africano è stato spesso oggetto di geopolitica. Ora sta dichiarando inequivocabilmente di essere pronto, capace e disposto a lavorare perché il mondo lasci alle spalle una geopolitica competitiva e conflittuale passando a una politica sana, per l’equità globale e il benessere di tutti. I conflitti e le guerre hanno origini complesse. L’Africa non può essere da sola il «candidato nobile» in grado di mediare sui conflitti globali, ma offre la saggezza dei nostri antenati che negoziavano la risoluzione delle controversie nel rispetto reciproco delle parti. Abbiamo bisogno di una nuova architettura di governance globale che vada oltre l’attuale sistema dominato dai paesi occidentali. Per esempio la guerra tra Russia e Ucraina richiede una risposta internazionale facilitata da paesi, regioni, leader, persone che siano considerati negoziatori di fiducia. L’Africa non ha ancora sviluppato un quadro istituzionale unitario che la renda in grado di parlare con una sola voce, e con i meccanismi istituzionali necessari ad affrontare complessità come conflitti e guerre.

«I popoli africani stanno definendo il loro ruolo nel futuro dell’umanità e rispettano la pienezza della diversità umana»: ma come abbattere il razzismo strutturale che permea governi e popoli?

L’Africa sta reclamando il proprio posto di continente madre, per ricordare che esiste un’unica famiglia. È un invito a ritornare a ciò che significa essere umani. Il razzismo è una negazione dell’umanità.

«Siamo responsabili nei confronti delle generazioni future». Ma storicamente, non si può addossare all’Africa una delle crisi più gravi del nostro tempo: i cambiamenti climatici. C’è quindi un debito ecologico da parte dei paesi più ricchi. Pensa che dovrebbe essere pagato, per dare all’Africa le risorse necessarie a essere un modello di sostenibilità e saggezza?

Vero: l’Africa non è responsabile di questo enorme danno ecologico, anche se non basta parlare in termini di rimborso del debito. Il continente africano subisce conseguenze pesanti e potrebbe essere sempre peggio in futuro, a causa della nuova corsa alle risorse naturali, comprese le terre rare in luoghi come la Repubblica democratica del Congo. Per una transizione a un futuro più giusto, alla rigenerazione ecologica e socioeconomica, in un pianeta più abitabile, ognuno dovrebbe contribuire in misura proporzionale al proprio status economico, che si è costruito in passato sul sistema estrattivista globale. L’Africa possiede molte delle risorse necessarie per la transizione ecologica. Ha ampie distese di terre, il grande polmone della foresta del Congo, la popolazione più giovane del mondo.

Altri punti della Dichiarazione: «Il popolo africano, le sue risorse naturali e la sua cultura di appartenenza e di comunità servono al meglio l’umanità quando vengono rispettati i suoi valori di inclusione, circolarità e sostenibilità» e anche: «Crediamo in una profonda connessione tra i doni ecologici dei nostri antenati e l’abbondanza di opportunità che saranno presenti in futuri fecondi». Come operare, in un mondo dominato da enormi interessi corporativi e dall’egoismo individuale, e in Africa dove i bisogni vitali sono così grandi e le urgenze così forti?

Lavoriamo insieme come famiglia umana per governare più saggiamente il nostro pianeta. Dobbiamo lasciaci alle spalle la cultura del consumo illimitato, ridurre l’insaziabile fame di energia. Non bisogna pensare che la semplice transizione verso le rinnovabili sia una licenza per consumare energia al ritmo attuale. Possiamo e dobbiamo cambiare il nostro rapporto con le risorse limitate che il pianeta ci offre. Il Club di Roma, nella sua esplorazione di come potrebbero essere le nuove civiltà emergenti, si basa molto sulla saggezza degli antichi, incorporata nelle culture indigene di tutto il mondo. In Africa, i concetti di ubuntu, omenala, ovvero benevolenza verso il prossimo, spiegano che siamo inestricabilmente legati come esseri umani gli uni agli altri e a tutto il resto di quanto è vitale, nella rete della vita. Abbracciare questo principio è essenziale per aiutarci come razza umana a trovare un nuovo equilibrio nelle nostre vite e la gioia di essere parte di un tutto. L’Africa è un luogo in cui dobbiamo imparare di nuovo come essere umani, vivere insieme, promuovere il benessere per tutti per un pianeta sano.

«Celebriamo le nostre tradizioni scientifiche e continuiamo a contribuire al corpus globale delle nuove conoscenze con modalità che siano di beneficio per la nostra gente e il pianeta». Esiste un futuro di un’economia della salute verde, decentrata e ben organizzata in filiere, basata sulle conoscenze indigene e sulle erbe?

L’antica saggezza è a disposizione dell’umanità anche nel rispetto del villaggio come base di una governance partecipativa e inclusiva, dove tutti i membri mettono insieme le loro competenze e capacità complementari. L’Africa ha un’abbondanza di conoscenze indigene in materia di guarigione. Erbe, piante, competenze, tradizioni di cura. Devono essere raccolte in modo rigenerativo, per garantire che siano documentate e conservate per le generazioni future. L’umanità deve abbandonare il rapporto estrattivo con la natura e con gli altri esseri, che è una modalità suicida. Dobbiamo abbracciare l’abbondanza dell’Africa e condividere questa ricchezza, questo patrimonio, con il resto del mondo in un contesto di equità globale. L’Africa è un luogo dove reimparare come vivere insieme, come promuovere il benessere per tutti, in un pianeta sano.

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