Afghanistan, sul linciaggio di Farkhunda condanna «salomonica»
Afghanistan Attentato talebano, il terzo in sei giorni
Afghanistan Attentato talebano, il terzo in sei giorni
Da Kabul, una notizia buona e una cattiva. La cattiva è che ieri i Talebani hanno colpito di nuovo in città, almeno 4 i morti e una ventina i feriti. La seconda è che 11 poliziotti sono stati condannati in primo grado a un anno di prigione per non aver impedito la morte di Farkhunda (nella foto), la ventottenne linciata e bruciata viva il 19 marzo davanti alla moschea Shah-e Du Shamshira (del Re delle due spade), in pieno centro a Kabul. Partiamo dalla brutta notizia. Alle 16.30 di ieri un’autobomba carica di esplosivo è stata fatta saltare in aria nel parcheggio del ministero della Giustizia.
Un obiettivo facile, per i Talebani, che hanno rivendicato l’attentato annunciando nuovi attacchi contro impiegati e funzionari del ministero. Già nelle settimane scorse ci hanno rimesso la pelle 3 procuratori. L’esplosione di ieri desta preoccupazione: è il terzo attentato in una settimana. Mercoledì scorso, mentre dalla Turchia il segretario della Nato annunciava una nuova missione post-2016 in Afghanistan, 14 persone – tra cui l’italiano Sandro Abati – venivano uccise in un raid al Park Palace Hotel. Domenica, l’attentato presso l’aeroporto contro un veicolo dell’Eupol, la missione di polizia dell’Unione europea: 4 vittime, tra cui due sorelline che andavano a scuola. E ieri, l’autobomba nel parcheggio del ministero della Giustizia, in una delle zone più trafficate di Kabul.
Le reazioni, qui in città, sono diverse: qualcuno è sorpreso. Meglio, deluso. Perché si aspettava che il recente avvicinamento tra il governo del presidente Ashraf Ghani e la leadership talebana in Qatar portasse qualcosa di buono. Se non un cessate il fuoco vero e proprio, perlomeno una progressiva riduzione delle attività anti-governative. Che al contrario si sono intensificate: non solo nella capitale, ma in tutto il paese la guerriglia picchia duro. Conquista posizioni. Avanza: omicidi mirati, ordigni esplosivi, vere e proprie offensive militari. «Non c’è da stupirsi – ci ha detto Mir Ahmad Joyenda, già parlamentare e ora vice-direttore del centro di ricerca Afghanistan Research and Evaluation Unit – fa parte del ‘processo di pace’. I Talebani colpiscono duro per condurre i negoziati da una posizione di forza». E la reazione dell’esercito è ancora inadeguata:
«Rischiamo di perdere terreno. E di ritrovarci, dopo l’estate, con un paese ancora più instabile».
Che la stabilità possa arrivare grazie a una migliore collaborazione tra Kabul e Islamabad è una cosa a cui credono in pochi. Due giorni fa è uscita la notizia che Nds e Isi, i servizi di sicurezza afghani e pakistani, firmeranno un accordo per lo scambio di intelligence. Nelle intenzioni del governo Ghani ciò dovrebbe favorire il processo di pace. Ma per gli afghani è un rischio enorme: «Non mi fido del Pakistan. E non sono la sola. – ci ha detto ieri Najiba Ayoubi, direttrice del network di radio e giornali indipendenti The Killid Group – Sono anni che promettono di rinunciare al sostegno ai Talebani, ma finora nulla è cambiato». Per Najiba Ayoubi non è così positiva neanche la «bella notizia» di ieri, la condanna degli 11 poliziotti nel «caso Farkhunda», la ragazza massacrata dalla folla perché accusata ingiustamente di aver bruciato un Corano. «Il giudice non ha fatto distinzioni tra soldati semplici e funzionari con gradi più alti, non ha riconosciuto le responsabilità individuali. Ha condannato tutti alla stessa pena per lavarsene le mani e dimostrare che la giustizia funziona anche qui».
Per Ayoubi, più che la condanna di per sé, andrebbe enfatizzata la reazione della società civile all’uccisione di Farkhunda: «Una mobilitazione così non si era mai vista. I mullah hanno cercato di screditarci, dicendo che la società civile è al soldo degli stranieri e non è islamica, ma il senso di fratellanza di quei giorni è ancora vivo, oggi. E aspettiamo che sia fatta giustizia completa per Farkhunda».
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