Affascinante vortice di note, il potere della musica assoluta
Biennale Le giornate dedicate a Rebecca Saunders, compositrice londinese Leone d’Oro alla carriera
Biennale Le giornate dedicate a Rebecca Saunders, compositrice londinese Leone d’Oro alla carriera
Potrebbe sembrare una trovata ad effetto, con una efficacia comunicativa da slogan pubblicitario, e come intestazione di un festival in effetti funziona egregiamente: ma Absolute Music, «musica assoluta», titolo e tema scelti dalla direttrice artistica Lucia Ronchetti per la 68esima edizione della Biennale Musica, quarta e ultima del suo mandato, è una formula con una storia importante. Coniata da Wagner a metà Ottocento, ha avuto fortuna con una valenza che non rispecchiava il pensiero del compositore tedesco, ma invece – con una concezione del tutto moderna – era a favore di una musica concepita prescindendo da qualsiasi riferimento extramusicale, quali per esempio l’uso per un lavoro teatrale, o preoccupazioni di ordine liturgico o comunque religioso: dunque musica per sé, non al servizio di altro e così più fedele alla propria essenza. Nel suo breve ma denso discorso di ringraziamento per il Leone d’Oro alla carriera conferitole dalla Biennale, Rebecca Saunders ha delineato i contorni di una musica che per quanto «assoluta», non è certo ripiegata su sé stessa. «Il tema del festival è la musica assoluta.
COS’È IL POTERE della musica? È proprio la completa assenza di una specifica, riconoscibile immagine nella musica che la rende così assolutamente affascinante – la musica ha una capacità quasi magica di implicare e inferire». Ma Saunders lo dice dopo avere fatto un ben concreto rinvio al «momento di rapido cambiamento del paesaggio politico in Europa, che ci mette di fronte a qualcosa di potenzialmente terrificante. (…) Ogni generazioni deve rinnovare la battaglia per la libertà di parola, di espressione, e noi artisti per l’autonomia dell’arte. (…) arte che osserva, critica e riflette la società contemporanea, che esprime la complessità del nostro mondo spirituale ed emozionale. (…) Io da sola con la mia musica non posso naturalmente cambiare il mondo, ma assieme possiamo incoraggiare l’apertura, la tolleranza, il rispetto e la curiosità reciproci (…)».
Classe 1967, londinese, Saunders ha però approfondito i suoi studi musicali e poi sviluppato la sua attività di compositrice gravitando prevalentemente in Germania, ed è berlinese di adozione (tanto che un po’ di accento tedesco affiorava nell’inglese del suo discorso); la Biennale Musica negli anni scorsi ha più volte presentato suoi brani; nel 2019 Saunders ha ricevuto il Siemens per la composizione, premio di altissimo prestigio.
GIOVEDÌ 26, alla Fenice, la serata inaugurale si è aperta con il suo Wound, una composizione del 2022 per ensemble e orchestra, presentata in prima italiana con l’Ensemble Modern e l’Orchestra del Teatro La Fenice, diretti da Tito Ceccherini; rimarchevole la capacità di tenere viva, lungo l’arco di una quarantina di minuti, l’inquietudine di un andamento ricorrente imperniato su una dinamica di tensione/distensione/sospensione, e brillante, nella parte centrale, l’emergere delle percussioni con vivaci elementi di regolarità ritmica, in un insieme sempre più incalzante, fino ad un progressivo acquietarsi; notevole la finezza della ricerca timbrica e nell’uso degli strumenti che emergono individualmente in evidenza. Anche in Skull, del 2023, per ensemble, presentato al Piccolo Arsenale in prima italiana, ed eseguito dal Modern, si può cogliere una struttura piuttosto leggibile, da un inizio con situazioni che si condensano brevemente per poi disperdersi, ad un andamento più persistente e consistente, con il ricorrere di certi elementi espressivi e di scatti nervosi e aspri che diventano via via più densi e articolati, anche qui con una grande sapienza timbrica e nel disegno dei contributi dei singoli strumenti; ma in Skull alla fine abbiamo avvertito un che di leggermente irrisolto, o la mancanza di qualcosa.
RINOMATO come compagine consacrata al repertorio contemporaneo – un repertorio che si è rinnovato nei decenni, e che dopo avere via via battuto molto su compositori come Webern, Ligeti, Lachenmann, Kurtag, è adesso aperto a lavori di autori di generazioni più recenti – l’Ensemble Modern esiste dalla prima metà degli anni ottanta e si è distinto fin dall’inizio anche come uno dei pochi casi di formazione senza un direttore, che ha fatto le proprie scelte discutendo e decidendo collettivamente: e anche a questo funzionamento democratico ha fatto riferimento la motivazione dell’assegnazione al Modern del Leone d’Argento da parte della Biennale Musica. Anche il Modern, nei ringraziamenti, ha ricordato il momento che stiamo vivendo: «È particolarmente in tempi come questi che la musica è piena di significato». Dopo la consegna del premio molto ricco il dialogo di alcuni componenti di vecchia data dell’Ensemble con Leonie Reineke: in cui è stato osservato che il Modern è considerato una formazione «specializzata», ma che in realtà è difficile parlare di specializzazione se si tiene conto della grande varietà del repertorio contemporaneo; si è insistito appunto sulla organizzazione democratica dell’Ensemble («la struttura democratica è una motivazione in più, che si aggiunge a quello che si fa sul palco»); e si è ricordata la collaborazione del Modern – una delle prime compagini classico-contemporanee a lavorare con artisti di altri mondi – con Frank Zappa: «era un compositore contemporaneo: non c’era un vero gap rispetto ad un Boulez…». Primi giorni con una bella e varia articolazione di proposte. Si continua fino all’11.
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