Visioni

Affari sporchi per il procuratore Fassbender

Affari sporchi per il procuratore FassbenderBrad Pitt e Michael Fassbender

Prima visione Ridley Scott adatta su grande schermo il romanzo di Cormac McCarthy che firma la sceneggiatura

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 16 gennaio 2014

Pochi film americani dell’anno scorso sono stati selvaggiamente fatti a pezzi dalla critica come quest’attesissima collaborazione tra Cormac McCarthy e Ridley Scott. Con l’eccezione (tra le firme note) di Scott Foundas (Variety) e Manohla Dargis (New York Times), i critici Usa hanno regalato a The Counselor un trattamento simile a quello riservato nel film dalle cheetah di Cameron Diaz alle loro vittime. Molto spesso con un vocabolario turgido, eccessivo, quasi ispirato da quello che Scott ha scelto per modulare il suo ultimo lavoro.

«Un film mumblecore concepito da un gruppo di studenti di filosofia di Sarah Lawrence e realizzato da ricconi pieni di coca per stramiliardi di dollari», lo ha definito per esempio Andrew O’Heir, su Salon. Comicamente criptica Lisa Kennedy sul Denver Post: «I film possono essere come dei poliziotti in borghese, troppo innamorati dei mondi che stanno esplorando».

Tempi interminabili, colori ipersaturi, dialoghi fiume, la fotografia patinata che ricorda gli spot dei generi di lusso di venticinque anni fa, la macchina usata in modo insopportabilmente ponderoso (che sia ferma o in movimento), donne bellissime ma un po’ tendenti al fanè…: alla fine degli anni ottanta The Counselor sarebbe stato considerato un capolavoro postmoderno.

Oggi, la profonda disattualità che sembra aver inferocito tutti (incassi devastanti come le recensioni) diventa l’unico reale punto di interesse del film, la «stranezza» che obbliga lo spettatore ad aggiustare continuamente lo sguardo (dato che la parabola anticapitalistica che forse ci vedeva McCarthy non tiene proprio….)

Michael Fassbender è un avvocato di El Paso che incontriamo sotto le lenzuola dove sta divertendosi con Penelope Cruz. I due si amano molto e ovviamente hanno «chemistry», solo che lui si fa tentare dal miraggio del soldo facile e finisce coinvolto in un’indecifrabile operazione di droga orchestrata da Brad Pitt, Javier Bardem e Cameron Diaz, dark lady iperbolica che umilia i suoi amanti esibendosi in fantasiosi amplessi solitari –per esempio con il parabrezza di un’auto.

Alla sua prima sceneggiatura originale, McCarthy affida a questi suoi personaggi cifra, flussi interminabili di parole che dovrebbero convogliare in un qualcosa di importante. Ma i dialoghi di McCarthy non sono quelli di Elmore Leonard, Ridley Scott non è suo fratello Tony e, pulp sanguinario per pulp sanguinario, Brad Pitt sembrava divertirsi molto di più in Una vita al massimo (True Romance).

McCarthy è un autore difficile da tradurre al cinema. Persino i fratelli Coen hanno smorzato un po’ la loro imperturbabile coolness adattando Non è un paese per vecchi. Solo James Franco, per ora, è riuscito ad affrontarlo in modo libero, anticonvenzionale nel suo Child of God. In The Counselor, non aiuta la sceneggiatura piena di sè un regista pieno di sè come Scott, che invece di scavare nel vorticoso testo per dargli forma, scolpirlo, tirarne fuori la forza, opta per un’adesione fotografica alla pretenziosità del tutto.

Il risultato è un film non riuscito, ma anche una trance così radicalmente controtendenza che vale il prezzo del biglietto

 

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