Ci sono anche Massimo D’Alema e Alessandro Profumo tra gli otto indagati dalla procura di Napoli per la (mai completata) trattativa di vendita alla Colombia di navi, sommergibili e aerei da guerra prodotti da Fincantieri e Leonardo. Gli altri sei sotto la lente degli investigatori per corruzione internazionale sono i broker pugliesi Francesco Amato e Emanuele Caruso, l’ex dirigente di Fincantieri Giuseppe Giordo, il commercialista Gherardo Gardo, Giancarlo Mazzotta e Umberto Claudio Bonavita.

Secondo i pm napoletani, l’ex premier avrebbe fatto da intermediario per mettere in contatto i già indagati Amato e Caruso con Leonardo e Fincantieri. I due broker, sempre a leggere le carte della procura, lavoravano come consulenti per la cooperazione internazionale del ministero degli Esteri colombiano e, «tramite Giancarlo Mazzotta, riuscivano ad avere contatti con Massimo D’Alema, il quale per il curriculum di incarichi anche di rilievo internazionale rivestiti nel tempo, si poneva quale mediatore informale nei rapporti con i vertici delle società italiane, ossia Alessandro Profumo quale amministratore delegato di Leonardo e Giuseppe Gordo quale direttore generale della divisione navi militari di Fincantieri».

Questa versione della storia, per la verità, non è mai stata smentita da D’Alema, che già lo scorso dicembre, intervistato dal Corriere della Sera, non nascondeva di aver «dato una mano a un imprenditore con una qualche imprudenza», usando più che altro il peso politico e la credibilità internazionale guadagnata in qualità di ex presidente del Consiglio ed ex ministro degli Esteri. Il suo avvocato, Gianluca Luongo, non ha dubbi sul fatto che «sarà dimostrata la più assoluta infondatezza delle ipotesi di reato a suo carico».

«I soggetti indagati – sostiene la procura di Napoli – si sono a vario titolo adoperati quali promotori dell’iniziativa economica commerciale di vendita al governo della Colombia di prodotti di aziende italiane a partecipazione pubblica Leonardo. In particolare aerei M346, Corvette, piccoli sommergibili e allestimento cantieri navali al fine di ottenere da parte delle autorità colombiane la conclusione degli accordi formali e definitivi aventi ad oggetto le descritte forniture ed il cui complessivo valore economico ammontava ad oltre quattro miliardi di euro». Per portare a termine al trattativa, sempre a dire degli investigatori, gli indagati «offrivano e promettevano ad altre persone il corrispettivo illecito della somma di 40 milioni di euro, corrispondenti al 50% della complessiva provvigione di 80 milioni di euro», da spartire in uno studio legale di Miami, in Florida. L’accordo, però, sarebbe saltato all’ultimo momento.

Lo scandalo, ad ogni modo, tocca anche personalità politiche colombiane come la ex ministra degli Esteri e vicepresidente Maria Lucia Ramirez, il capo del gruppo di lavoro per la presentazione di opportunità in Colombia Edgardo Fierro Flores e i delegati del senato di Bogotà German Monroy Ramirez e Francisco Joya Prieto. Appresa la notizia, il presidente Gustavo Petro ha chiesto via Twitter che ad intervenire sia anche la giustizia colombiana.