Afaf, dalla Palestina agli Stati Uniti nello sprofondo dell’animo umano
INTERVISTA Parla Sahar Mustafah, autrice del romanzo «La tua bellezza», edito da Marcos y Marcos, che racconta la storia di una strage in un liceo femminile. «Ho indagato la forma di questa violenza, intrisa di patriarcato e suprematismo bianco»
INTERVISTA Parla Sahar Mustafah, autrice del romanzo «La tua bellezza», edito da Marcos y Marcos, che racconta la storia di una strage in un liceo femminile. «Ho indagato la forma di questa violenza, intrisa di patriarcato e suprematismo bianco»
Afaf è intenta a pregare in uno stanzino del liceo femminile che dirige a Chicago quando un uomo armato apre il fuoco e stermina le studentesse. Lei sente gli spari, attende e comincia un viaggio lungo le proprie radici. Si congiunge a sua madre e suo padre, rivede sua sorella e il percorso che l’ha portata a una scelta religiosa. C’è però dell’altro nel primo romanzo di Sahar Mustafah, figlia di palestinesi emigrati negli Stati Uniti, che si era già misurata con la scrittura letteraria pubblicando la raccolta di racconti Code of the West. Il sortilegio infantile e profumato di spezie, la mancanza lacerante insieme al pensiero degli altri attraversano La tua bellezza (Marcos y Marcos, pp. 384, euro 18, traduzione di Francesca Conte) consegnando una storia scomoda e profondamente vivida.
TONI MORRISON, Laila Lalami ma anche Naomi Shihab Nye, fra i riferimenti della scrittrice, fanno capolino dalle sue pagine, con Mahmud Darwish, maestro di conversazioni con la scomparsa che domanda la si nomini guardandola in faccia, insieme alla fame e la sete: «è un poeta che incarna la lotta palestinese per la libertà e l’autodeterminazione – dice Mustafah, che collabora con Rawi e Voices of Protest, raggiunta per qualche domanda – entrambi oggetto di desiderio per ogni essere umano. Anche Afaf si interroga sul senso dei luoghi nella sua battaglia contro un dolore senza fine. Con lei ho amato esplorare la mia eredità culturale attraverso il posizionamento del mio privilegio, nelle sfide delle seconde generazioni. Essere palestinese è un’identità piuttosto irta in cui difendi costantemente il tuo diritto di esistere in un paese che è stato rubato. Quel trauma politico generazionale è aggravato dalle fratture famigliari». I temi affrontati dal romanzo di Sahar Mustafah sono universali, in particolare le esperienze e i rovesci costellano un comune sentire riconoscibile a varie latitudini, per esempio quando Afaf si immerge in una sessualità distruttiva, o Baba si stordisce con l’alcol.
AVENDO CURA di non scivolare «in una narrazione unica per restituire i nodi dello sradicamento e della assimilazione», l’autrice spiega il loro avvicinamento all’Islam, «a causa delle privazioni o dell’assenza di qualcosa. Baba dopo la devastazione per la perdita della propria figlia e un matrimonio tumultuoso. Anche Afaf sperimenta gli effetti di quelle circostanze, non ha genitori forti o una salda comunità di amici. Quando incontra Kowkab, arriva a una straordinaria cerchia di donne che la abbracciano senza giudizio né condizioni. I rituali dell’Islam vengono gradualmente adottati solo dopo aver trovato questa appartenenza che la guida e la aiuta a procedere». L’allerta verso gli attacchi dentro le scuole, sgranata all’interno del romanzo, interpella Mustafah in prima persona, visto che insegna in un liceo: «un timore orribile – specifica – e, tragicamente, un nuovo tipo di normalità per educatori, studenti e genitori americani a causa delle fallimentari politiche federali e statali sul controllo delle armi e della mancanza di risorse per il benessere dei nostri figli. Quel che racconto però ha un ulteriore scenario, derivante dall’odio e dal bigottismo, un atto commesso da un adulto maturo, non da un giovane studente».
ECCO PERCHÉ è presente anche il punto di vista dell’uomo armato, pieno di risentimento che, dopo aver acquistato un fucile automatico online, decide per la strage. Il libro dà spazio anche alla sua parola, senza per questo trovare una giustificazione ma per segnalarne l’intera contraddizione: «la storia non sarebbe stata completa se non avessi indagato da dove venisse il tiratore e da quale processo derivasse il faccia a faccia con Afaf nel suo edificio scolastico. Le sue azioni non si possono legittimare in nessun modo ma ho voluto approfondirle, questo è uno dei doni consentiti dalla fiction. Posso sollevare domande anche se non sempre ho le risposte. Per quanto inquietanti siano i gesti dell’assassino, è ancora un essere umano in carne e ossa, ed è ciò che mi interessa: come si sono sviluppati rancore e bigottismo, quali perdite ha subito, cosa l’ha attratto verso l’estremismo».
È così che il romanzo apre a delle considerazioni politiche e di contesto storico che affondano verso una forma della violenza di cui si devono distinguere i contorni e che in questo caso, ne è sicura Sahar Mustafah, «è intrisa di patriarcato e suprematismo bianco. Le fisionomie sono ampie, come quando esaminiamo la storia degli Stati Uniti alla luce di eventi recenti come quelli legati al Black Lives Matter, dobbiamo confrontarci sul modo in cui i semi del bigottismo sono cresciuti, sopraffazione e sfruttamento hanno avuto una differente ricaduta nelle varie comunità, eppure i ceppi proliferano dallo stesso solco di odio e paura».
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