Il nome di Adrienne Monnier (1892-1955) è indissolubilmente legato a quello della sua libreria, «La Maison des amis des livres», che si trovava in pieno Quartiere Latino a Parigi. Esce ora Rue de l’Odéon. Storia di una libreria che ha fatto il Novecento (pp. 200, euro 18), primo titolo di Bordolibero, piccola casa editrice messinese che recupera la bella traduzione di Elena Paul, originariamente allestita per due punti edizioni nel 2010. Si tratta di una scelta del volume eponimo di Monnier, stampato da Albin Michel nel 1960, ricco di testimonianze e godibile, in quanto incentrato sulla particolare temperie culturale che si respirava a Parigi nel periodo che va dal 1915 al 1951, anno in cui la libraia fu costretta a ritirarsi a causa di un’infezione reumatica.

COMPAGNA DI SYLVIA BEACH, la cui libreria Shakespeare & Company si trovava dirimpetto alla sua, Adrienne Monnier pubblicò anche riviste, bollettini e libri di pregevole fattura, a cominciare dalla prima traduzione francese dell’Ulisse di Joyce, a cura di Jacques Benoit-Méchin, con la supervisione di Valéry Larbaud e dello stesso autore irlandese. La versione del capolavoro joyciano uscì nel 1929, a distanza di sette anni dalla pubblicazione dell’originale per i tipi di Shakespeare & Company (il libro, com’è noto, riporta nel colophon la data di stampa del 2 febbraio 1922, giorno del quarantesimo compleanno del narratore).

NEL CAPITOLO DEDICATO all’Ulisse, l’autrice si sofferma a ricostruire la vicenda dei rapporti intercorsi tra Joyce e Larbaud, nonché l’anticipazione di un estratto di quella traduzione apparso nel numero inaugurale del 1924 di «Commerce», la rivista finanziata da Marguerite Caetani. Joyce, «che voleva essere il maestro delle difficoltà in ogni ambito, osservò che sarebbe stato bene per la traduzione di Penelope eliminare non solo la punteggiatura, come nell’originale, ma anche tutti gli accenti sulle lettere e sugli apostrofi». Larbaud si limitò ad assentire.

«La Maison des Amis des Livres» divenne un importante crocevia culturale, in cui si ritrovavano intellettuali di cartello, non solo francesi (si pensi a Rilke, Walter Benjamin, Gertrude Stein, Hemingway, Beckett). Ma i capitoli più avvincenti riguardano la frequentazione degli scrittori autoctoni, da Léon-Paul Fargue, il quale mette a disposizione una dozzina di rare copie del suo Tancrède, a Paul Valéry che ascolta con interesse la spiegazione del neologismo potasson, coniato dalla libraia e da Fargue, ovverossia persone a cui si può dire «o tè un janti», traslitterazione omofonica di «Oh, sei gentile».

GLI INTELLETTUALI più importanti dell’epoca si ritrovano abitualmente in quella libreria: da Claudel a Gide, da Léautaud a Apollinaire, da Breton a Éluard, da Satie a Debussy. Artaud ha con Monnier un rapporto speciale di confidenza e le invierà dal manicomio alcune memorabili lettere.

In quest’ambito si segnala la figura poco conosciuta di Raymonde Linossier, definita da Fargue nel suo Piéton de Paris «violetta nera», che sottopose all’attenzione della Monnier il romanzo autobiografico Bibi-la-bibista, dedicato al compositore Francis Poulenc. Definire tale opera essenziale (e iconoclastica) è, a dir poco, un eufemismo, considerato che era costituita di cinque brevissimi capitoli, il primo dei quali dedicato all’infanzia. Lo riportiamo integralmente: «La sua nascita fu uguale a quella degli altri bambini. E per questo fu chiamata Bibi-la-bibista. (Questa fu l’infanzia di Bibi-la-bibista)».

IL LIBRETTO, di 14 pagine, venne stampato nel 1918, senza eccessivo consumo di inchiostro, in 50 esemplari su carta simil-riso, su indicazione della stessa Monnier, nella stamperia di Paul Birault a Montmartre, che si era misurata con la pubblicazione dei testi più radicali dell’avanguardia parigina, tra cui gli ideogrammi di Apollinaire. Fecero vedere il libriccino a Pound che ne fu così stregato da pubblicarne il contenuto nella «Little Review» con una sua nota.

Nacque così il fenomeno del bibismo che ebbe la stessa fortuna della sua artefice, la quale, dopo essere stata una delle nove dattilografe impegnate nel non semplice compito di trascrivere a macchina l’Ulisse di Joyce (più precisamente, settanta pagine del capitolo Circe), tolse il disturbo ad appena 33 anni, nel gennaio 1930, dopo aver fondato il «Movimento Egocentrista». Bibi-la-bibiste, con il sottotitolo Breve romanzo dadaista, conobbe nel 2015 una meritoria versione italiana, curata da Antonio Castronuovo per Stampa Alternativa.