I temi del viaggio, della fuga dal quotidiano, del movimento verso un altrove, della deriva, sono stati molto esplorati nel cinema italiano degli ultimi decenni: si pensi ad autori di successo come Gabriele Salvatores e Silvio Soldini. Ancora un cinema che si nutre di geografie, spaziali, temporali, mentali, è quello del giovane filmmaker Adriano Valerio, autore finora di un lungometraggio e sei corti. Un regista da scoprire, cosa che sarà possibile durante la prossima edizione dello ShorTS International Film Festival (Trieste, 1 – 8 luglio 2023). Valerio sarà protagonista nelle giornate di giovedì 6 e venerdì 7 luglio, durante le quali presenterà i suoi lavori e incontrerà il pubblico. L’omaggio al filmmaker rappresenta il nucleo della nuova sezione del festival intitolata Campolungo, curata da Beatrice Fiorentino e Massimo Causo, dedicata a registi la cui filmografia contenga importanti cortometraggi e almeno un lungo.

Da italiano che vive e insegna a Parigi, in diversi istituti, Valerio porta avanti un cinema di scissioni di patrie, di spostamenti e spaesamenti, di traiettorie di vita, convergenti o divergenti. Temi che lo portano in uno dei luoghi più sperduti al mondo ovvero l’isoletta in mezzo all’Atlantico di Tristan da Cunha per il suo lavoro d’esordio, il corto 37°4 S (2013), dove due ragazzi innamorati trascorrono le giornate in una piscina vuota, in un contesto geografico immerso nel nulla, un paesaggio desolato e brullo. Sono i loro ultimi istanti di felicità: lei partirà per Londra e per due anni non si vedranno ma, sono certi, andrà tutto bene. Il ragazzo costruisce barche, segno della propensione al viaggio dei personaggi di Valerio. Similmente lavora nel settore nautico anche Clara, protagonista, insieme a Ivo, di Banat – Il viaggio (2015), unico, al momento, lungometraggio del regista, presentato a suo tempo alla veneziana Settimana della Critica, dove sviluppa estesamente il suo stile e la sua poetica. La storia è quella di un’emigrazione al contrario, rispetto a quei «lavoratori rumeni in Italia che fanno come il sole che nasce a Est e va a morire in Occidente» come dice lo stesso protagonista. In senso opposto l’agronomo Ivo, che vive a Bari dalla fine degli anni Novanta, si sposta verso la Romania. Una Romania interna, rurale, una terra dimenticata dal tempo, fatta di capannoni e archeologie industriali, luci al neon, rottami, di gente che balla al ritmo della fisarmonica, di casolari cadenti e diroccati nei cui interni campeggiano ancora i ritratti di Nicolae ed Elena Ceausescu. «Dopo la rivoluzione tutti vogliono restare soli», spiega il capo rumeno di Ivo. C’è il rifiuto di qualsiasi forma consociativa aziendale, come quelle cooperative in cui si strutturava il sistema socialista, in favore dell’impresa individuale, che non sempre risulta vincente. I fantasmi del regime del conducator emergono nel passato del capo, ex-campione di calcio, che il figlio di Ceausescu faceva torturare per impadronirsi della mercedes da lui avuta in omaggio in Spagna.

Nella dimensione del lungometraggio, Adriano Valerio sviluppa un suo personale stile. Alterna inquadrature di viaggio, successioni di paesaggi e architetture, a rappresentare il movimento, con momenti di stasi, come già in altre sue opere, rappresentati da blocchi del fotogramma piuttosto che di composizioni dei personaggi fermi come in un tableau vivant. Al contempo sa scrutare i volti dei suoi personaggi, tutti ben caratterizzati a partire da quello della stralunata e malinconica padrona di casa, la signora Nitti, una sempre meravigliosa Piera Degli Esposti. E gestisce un flusso narrativo nevrotico, con tante piccole ellissi o accelerazioni. Ancora in una tradizione di cinema italiano, si pensi solo come esempio a Zurlini, Valerio usa la musica pop, qui nella scena catartica del karaoke di Clara, nel casolare immerso nella neve, che canta Se t’amo t’amo, un successo degli anni Ottanta di Rosanna Fratello, ulteriore riferimento del film agli ultimi decenni del secolo passato, tanto per l’Italia quanto per la Romania.

Le partite di calcio tornano spesso, come richiami temporali, nel cinema di Valerio. In Banat – Il viaggio ne vengono citate due: lo storico match tra un Bari appena tornato in serie A e l’Inter, nel 1999, vinto dalla squadra pugliese grazie al mitico goal di Antonio Cassano; la finale di Coppa dei Campioni 1985-86 tra Steaua Bucarest e Barcellona, vinta dai rumeni ai rigori. Ancora una partita rappresenta l’elemento centrale nel corto Les aigles de Carthage (2020): la finale della Coppa delle nazioni africane 2004 che vide contrapporsi le nazionali di Tunisia e Marocco. Ancora una vittoria agognata da tanto tempo, quella della Tunisia, che Valerio fa raccontare dai ricordi di vari tunisini, alcuni dei quali, all’estero, immigrati a Marsiglia dove fanno parte di un gruppo rap. Un grande momento di esultanza nazionale, tra la folla festante, nello stadio e nelle strade. E viene citato Pasolini che definiva il calcio quale «l’ultimo rituale sacro del nostro tempo». A festeggiare anche un ingessato presidente Ben Ali che continuerà a tenere con mano il trofeo anche dopo averlo consegnato ai giocatori. Ancora una partita prima della rivoluzione. Sei anni dopo la gente tornerà in piazza, stavolta per contestare il presidente e costringerlo alla fuga.

Due esistenze momentaneamente in fase di separazione, due solitudini che si erano incontrate. Sono rappresentate da Daniela e Fouad del delicatissimo corto Mon amour mon ami, presentato a Toronto e tra gli Orizzonti Corti di Venezia. Due apolidi che si ritrovano a Gubbio, lui immigrato dal Marocco, lei proveniente da Bari. Tutte e due figure sui generis, lui è un musulmano che beve la birra, lei praticante del buddhismo della Soka Gakkai. Lui le ha chiesto di sposarlo ma solo per ottenere il permesso di soggiorno, lei è rimasta perplessa all’idea di un falso matrimonio con qualcuno che è innamorato. Qualcosa succederà sotto un rutilante albero di Natale, sulle note di Mon amour, mon ami di Marie Laforêt, canzone francese anni Sessanta dai ritmi arabeggianti. Due spostamenti importanti sono oggetti degli ultimi due lavori del regista. In The Nightwalk (2021) Jarvis si trasferisce a Shangai per uno scambio culturale, per trovarsi in mezzo al duro lockdown cinese, perdendo anche di vista la sua fidanzata Lin. Valerio ancora sperimenta l’alternanza tra scene dinamiche, come la corsa agonistica in bicicletta, e statiche, qui realizzate come sequenze di immagini fisse, come un fotoromanzo o come La Jetée, il celebre film di Chris Marker. L’ultimo corto, Calcutta 8:40 AM (2022), comincia in una piscina, elemento che ricorre nel cinema di Valerio: Yann va a prendere il figlioletto e trascorre del tempo con lui. L’uomo, che parla francese, deve lasciare Calcutta per tornare a Parigi per qualche mese. Passa l’ultima notte tra le luci della città indiana, colta da Valerio nella sua parte residenziale, chiassosa e sgargiante.