Adriana Zarri, il paradosso evangelico dei «poveri beati»
«È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» è una delle più note affermazioni evangeliche di Gesù. Una sentenza paradossale, diventata proverbiale e utilizzata per condannare la ricchezza e l’opulenza, ma anche per esaltare la povertà.
A leggerla bene si tratta di una contraddizione quasi insanabile, che Adriana Zarri, eremita laica, teologa acuta e controcorrente, ha indagato con la profondità che l’ha sempre contraddistinta e che lettrici e lettori del manifesto conoscono bene, dal momento che Adriana ha collaborato con questo giornale per trent’anni (fino alla morte, nel novembre 2010), scrivendo di Chiesa, di teologia, di politica e società, con libertà e spirito critico.
«Non riesco bene a comprendere se tanti miei fratelli nella fede amino la povertà o la detestino» visto che contemporaneamente «predicano la povertà e l’affrancamento dalla povertà», scriveva Adriana Zarri in un volume ormai introvabile stampato per la prima volta da Gribaudi nel 1975 – che peraltro non ebbe il successo che avrebbe meritato – e che ora meritoriamente l’editore Lindau ripubblica (È più facile che un cammello…, postfazione di Antonietta Potente, pp. 458, euro 29).
SI TRATTA di una sorta di «midrash moderno» di testi biblici ed evangelici – l’immagine è di Mariangela Maraviglia, autrice di una bella, e per ora unica, biografia di Adriana Zarri (Semplicemente una che vive. Vita e opere di Adriana Zarri, il Mulino, 2020: vedi il manifesto 18 novembre 2020), liberamente scelti, ricreati narrativamente e sui quali si sviluppa una riflessione spirituale-sapienziale sulla povertà, originale nei contenuti e nel genere letterario, che spazia dalla teologia alla mistica, dalla lirica alla prosa narrativa.
«POSSIAMO DIRE ’beati i poveri’ se poi ci impegniamo ad arricchirli?», si chiede Zarri. Allora forse, prosegue, «il nostro amore per i poveri è solo sdegno per l’oppressione, fa corpo con l’ansia rivoluzionaria che spera in un mondo nuovo in cui la povertà venga abolita e siamo tutti eguali nella ricchezza. Il nostro, insomma, è un amore sociologico, e quella che auspichiamo è soltanto giustizia».
Se è così, allora diventa necessario distinguere povertà e giustizia e analizzarle nella loro diversità e reciprocità. Ed è l’operazione che Adriana Zarri affronta nella sua complessità, proponendo domande più che fornendo risposte, articolando un discorso teologico, ma di quella teologia – la teologia amata e da lei praticata – che non dispensa certezze ma mette in crisi, apre scenari, indica piste, perché ciascuno costruisca i propri percorsi di liberazione.
CAMMINANDO sempre sul filo dei paradossi, che sono stati la cifra della vita e del messaggio di Gesù. «La tua è una pace difficile, la pace di uno che dichiara: sono venuto a portare la guerra», scrive. «Certo sarebbe stato più ’pacifico’ lasciare i mercanti ai loro traffici, prestare ossequio ai sacerdoti, ai farisei, ai dottori della legge, agli scribi della burocrazia clericale che era la curia del suo tempo. Ma non sarebbe stata la tua pace», che invece è «una pace combattuta che nasce da un ordine esigente», un ordine rivoluzionario che è l’opposto dell’«ordine del mondo».
IN UN PERCORSO inarrestabile, «da veri rivoluzionari – scrive Zarri – che non si contentano di un ordine un po’ meno ingiusto ma sempre ingiusto, ma che restano in opposizione a questo mondo finché non confluisca nel tuo regno». Povertà allora, scrive nella postfazione la teologa Antonietta Potente, è «nostalgia dell’origine, che è nostalgia di pace e bellezza».
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento