Cultura

Adriana Zarri, il debutto della libera ricerca spirituale

Adriana Zarri, il debutto della libera ricerca spirituale

Scaffale «La mia voce sa ancora di stelle. Diari 1936-1948», a cura di Francesco Occhetto, per Einaudi

Pubblicato più di un anno faEdizione del 5 luglio 2023

Le lettrici e i lettori del manifesto conoscono bene Adriana Zarri, donna teologa laica – tre parole che soprattutto in Italia suonano ancora come un ossimoro – che per trent’anni (dal 1980 alla morte nel 2010) ha scritto su questo giornale di Chiesa, teologia, spiritualità e società, con acume, libertà e spirito critico. Ma quella che emerge dai suoi diari giovanili, appena pubblicati da Einaudi con la cura rigorosa e l’interpretazione profonda di Francesco Occhetto, è una Adriana Zarri inedita (La mia voce sa ancora di stelle. Diari 1936-1948, pp. 290, euro 20).
Inedita perché si tratta di testi che leggiamo ora per la prima volta, letteralmente tirati fuori da un cassetto dove li custodiva Bruna Pietranera, fra la animatrici dell’associazione Amici di Adriana Zarri. Inedita perché quella che si manifesta dai diari scritti fra il 1936 e il 1948 è un’adolescente e poi una giovanissima donna (nata a San Lazzaro di Savena, nelle campagne bolognesi, nel 1919: per la biografia di Zarri si veda Mariangela Maraviglia, Semplicemente una che vive, il Mulino, sul manifesto del 18 novembre 2020) alla ricerca dell’essenziale e dell’assoluto, non ancora la teologa originale e radicale capace di anticipare e poi di oltrepassare il Concilio Vaticano II, né l’eremita immersa nel mondo e nella storia. Inedita perché c’è tutta l’Adriana Zarri mistica, che cerca Dio non nel soprannaturale – come una superficiale interpretazione della parola potrebbe suggerire – ma nel quotidiano e nell’ordinario.

I DIARI SI DIVIDONO in tre fasi. La prima, la cui redazione è datata 1936, è quella della «conversione», che arriva fulminante e misteriosa, innestandosi nella vita di un’adolescente inquieta e profondamente turbata dalla morte improvvisa del fratello maggiore Adriano, a vent’anni, nel 1931. «Fu un lampo! – scrive la 17enne Adriana – Un lampo improvviso che squarciò le tenebre della mia mente nella quale si versarono torrenti di luce. In un istante io vidi Colui che avevo sempre cercato: lo conobbi, lo amai, fui sua».
Per Adriana è la vera scoperta di Dio. Ma quale Dio? Non il Dio «monolitico» e «patriarcale», «moralista» e «punitore» definito dalla teologia e trasmesso dalla pastorale del tempo – il catechismo è quello di Pio X, sul soglio pontificio dal 1939 siede Pio XII – e che Adriana ritrova nella Compagnia di San Paolo, istituto religioso in cui entra nel 1942, credendo di poter realizzare lì la propria vocazione, e da cui si allontana qualche anno dopo. «Mi sento paralizzata, sminuita, finita: un povero fantoccetto al comando dei fili», scrive Adriana il 21 giugno 1943.

INIZIA LA NUOVA VITA di Adriana, quella della libera ricerca spirituale e teologica (un «cammino eversivo e controcorrente congeniale ai soli dettami dello Spirito, al di là di qualsivoglia ingerenza ecclesiale, teologica o politico-culturale», rileva Occhetto), dell’incontro con il Dio-Amore e della «mistica», non come fuga dal mondo, ma come immersione nell’umano per trovare il divino. E infatti i suoi diari giovanili – compresi gli slanci di una scrittura giovanile ed estrema – possono essere inseriti a pieno titolo in quel filone della mistica cristiana femminile, che dal Medieovo arriva fino a Simone Weil e Hetty Hillesum. In cui, scrive Luisa Muraro, Dio «diventa un Dio di passaggio: dal chiuso della teologia scientifica, delle discussioni scolastiche, delle cerimonie e delle gerarchie, dei canoni e dei tratti, si trasferisce nella relazione d’amore e da questa scorre per il mondo, liberamente e segretamente».

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