Visioni

Adriana Lecouvreur, un’anima fassbinderiana nel debutto alla regia di Gianluca Falaschi

Adriana Lecouvreur, un’anima fassbinderiana nel debutto alla regia di Gianluca Falaschi«Adriana Lecouvreur» a Mainz (foto di Andrea J. Etter)

A teatro Al teatro nazionale di Mainz l'opera di Francesco Cilea dal libretto di Arturo Colautti (1902)

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 29 settembre 2021

«Tutti uscite e ogni soglia sia chiusa all’audace…». Appena Adriana Lecouvreur inizia il monologo dal Bajazet di Racine si accendono i riflettori e la macchina da presa comincia a girare, indugiando sul volto della protagonista. La regia di Gianluca Falaschi ricostruisce al Teatro di Mainz la vicenda di Adriana Lecouvreur nella Hollywood del ventennio fra le due guerre, intrecciando la riflessione sul mondo del palcoscenico, sul divismo, sull’effimero splendore delle luci della ribalta che ancora oggi sono forse uno dei portati più fascinosi dell’opera di Francesco Cilea e del libretto di Arturo Colautti (Adriana Lecouvreur, 1902).

SENZA DETERMINARE un’ambientazione precisa lo sguardo si allarga e gioca con citazioni da Brodaway al cabaret tedesco, da Fassbinder a Marlene Dietrich, dal carnevale di Mainz a Sunset Boulevard. È il teatro di Mainz, vivace centro culturale noto per la qualità della sua compagnia di Tanz Theater, a ospitare il debutto nella regia lirica di uno dei migliori costumisti di oggi: Falaschi, romano, già premio Abbiati per i costumi del rossiniano Ciro in Babilonia a Pesaro, più volte impegnato nelle inaugurazioni scaligere, a Mainz ha lavorato spesso come costumista in progetti di rilievo, da Armide di C.W. Gluck a Perelà di Pascal Dusapin per la regia di Lydia Steyer.

Il 12 settembre ha portato sulla scena Adriana Lecouvreur sempre curando l’intero allestimento, mentre il disegno delle luci è di Ulrich Schneider e l’essenziale contributo al make up di Guido Paefgen. Le vicende di Adriana, l’amore per Maurizio, l’adorazione vana dell’amico Minchonnet e la fatale contesa per gelosia con la principessa di Bouillon vengono spostate dal Settecento ricreato in pastiche da Cilea agli anni ‘30 spogliati però da ogni nostalgia di italico strapaese, con l’effetto di integrare maggiormente l’opera in una prospettiva di gusto europeo. Le luci e i lustrini, i costumi eccessivi del ballo del terzo atto trasformato in una grottesca sfilata carnevalesca, restituiscono un mondo effimero dietro il quale si nascondono sacrificio e solitudine, abusi, desideri, invidie, miserie, speranze deluse.

SU TUTTO ALEGGIA la consapevolezza di Adriana, che assiste al tramonto della sua stella, il cui dissolversi sembra ferirla in prospettiva più dell’amore contrastato per Maurizio. Esaltante nell’incarnazione del ruolo il soprano Nadja Stephanoff, che tratteggia una diva dal carattere ora volitivo ora fragilissimo, una diva al tramonto che non rinuncia per un istante alle sue prerogative. Il canto sensibile mette al servizio dell’espressività e della parola perfino le occasionali imperfezioni vocali, senza mancare alcuno degli appuntamenti cruciali della sua parte. Il tenore Vincenzo Costanzo è un Maurizio sfacciato e italianissimo, tenore fino al midollo, che del suo personaggio coglie il narcisismo e il cinismo di un uomo abituato a usare le donne per il suo successo.

Pronta al confronto senza esclusione di colpi la principessa agguerrita di Sanja Anastasia, mentre il Minchonnet di Michael Dahmen e il principe sessuomane di Stephan Bootz sembrano appartenere per impostazione vocale e caratterizzazione più al mondo della ribalta che alla vita reale di Adriana. Sul podio Daniel Montané governava la narrazione con gesto sicuro, cercando di privilegiare sfumature e leggerezza, esaltando nelle scene di Adriana ma evitando sempre eccessivi empiti veristici.

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