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Adriana Berselli, il cinema come abilità e immaginazione

Adriana Berselli, il cinema come abilità e immaginazionebozzetto per Sydne Rome in "Che?" di Polanski

Costumi "L'avventura del costume" (Artigiland), un libro intervista che racconta la storia della costumista e designer che inventò lo stile dell'italiana moderna

Pubblicato più di 8 anni fa

Si parla poco nei libri di cinema dei costumisti e degli scenografi perché da sempre, e giustamente, gli autori dei film sono i registi, e in certi casi gli attori vengono considerati quasi come emanazioni del loro pensiero. Ciò rende il discorso sul cinema qualcosa di astratto, come se si parlasse più che altro di idee, di meccanismi narrativi, realizzati quasi esclusivamente attraverso movimenti di macchina e un abile uso della fotografia. Molti hanno quasi dimenticato che il cinema, soprattutto quello italiano, nasce tra scene di cartapesta e costumi da trovarobato e, anche quando si affaccia ad una dimensione più realistica, non smette di raccontare attraverso segni che non sono soltanto luoghi e situazioni, ma anche modi di essere e di muoversi dei personaggi, modi di vestirsi e di agire in base all’immaginazione di qualcuno che non è il regista ma il costumista.

Adriana Berselli, la costumista sul cui lavoro è stato presentato qualche giorno fa un voluminoso libro al Cinema Trevi edito da Artdigiland, ricco di schizzi, foto e bozzetti, si è affacciata al cinema guidata dal suo compulsivo bisogno di ritrarre, di fermare sulla carta ogni persona che per qualche ragione colpiva la sua fantasia. Fin dai primi schizzi di quand’era ragazza, il tratto vivace, sintetico ed ammiccante, quasi stilizzato di Adriana si impone all’attenzione di chi guarda con il magnetismo e la prepotenza di qualcosa che vuol essere guardata. Questa dote fàtica dei disegni che ancor oggi stimolano la curiosità di chi li vede salta immediatamente agli occhi per una strana commistione di sintesi espressiva e di attenzione al dettaglio, che attraggono e sorprendono al di là della loro evidente funzione di progetti da realizzare, di abiti creati per adattare gli attori alle storie da raccontare attraverso il cinema. Intanto i bozzetti della Berselli mostrano sempre, invece delle solite sagome standardizzate, personaggi in movimento, quasi che già nel figurino essi assumano gli atteggiamenti e l’andatura che avranno nel film. Non a caso per lei è importantissima la sceneggiatura, perché è la base da cui inizia a “vedere” gli ambienti e i personaggi, come in una storia di cui ogni lettore immagina i luoghi e i protagonisti. Di qui infatti, oltre che naturalmente dai colloqui con i registi, la Berselli è sempre riuscita ad immaginare gli abiti nei loro dettagli, a indovinare la loro adattabilità alle carattertistiche degli attori, ai loro movimenti, alla loro statura umana.

Figlia di una pianista ferrarese, studia il piano per dieci anni, ma poi si lascia tentare da un concorso del Centro Sperimentale e viene ammessa ai corsi di costume e scenografia. In quegli anni conosce, oltre ai suoi maestri, tra cui Dario Cecchi e Veniero Colasanti, anche molti altri iscritti che prenderanno strade diverse, come Giulia Lazzarini, divenuta poi grande attrice del Piccolo di Milano, Beni Montresor, scenografo e regista, Folco Quilici e persino Domenico Modugno, che nelle pause suonava e cantava le sue prime canzoni. Grazie ad una convenzione per cui ogni produzione doveva assumere almeno un allievo del Centro Sperimentale, Adriana viene chiamata nel ’52 come assistente di Mario Vigolo per un film molto particolare: La voce del silenzio di George W.Pabst, grande produzione internazionale su un soggetto di Zavattini, con attori come Jean Marais, Daniel Gélin, Aldo Fabrizi e Cosetta Greco. Prova impegnativa anche per la difficoltà di comunicare con il regista che parlava soltanto in tedesco, ma esperienza interessante perché permetteva il contatto con un ambiente internazionale, benché il film fosse ambientato nella Roma vaticana e trasteverina e persino in una vecchia fabbrica di candele. Vigolo ad un certo punto abbandonò il set per dissapori con la troupe e, in attesa di Maria De Matteis, poi di Dario Cecchi che non arrivarono mai, tutto il lavoro fu fatto dalla Berselli. Dopo un film con Tino Scotti, Fermi tutti, arrivo io!, con Giovanna Ralli e Katina Ranieri, e Lasciateci in pace di Sergio Grieco del ’53, la Berselli si afferma definitivamente lavorando per Alessandro Blasetti in Tempi nostri (Zibaldone n.2), un film a episodi che permetteva di mettere insieme molti più attori noti che garantivano il successo senza i grandi sforzi produttivi di un lungometraggio. Grande lavoro invece per la costumista che doveva cambiare costumi e contesto per ben sette volte confrontandosi con attori come Totò, Sophia Loren, Eduardo De Filippo, Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, (il cui episodio non venne poi incluso nel film), Lea Padovani, Vittorio De Sica, Elisa Cegani, Yves Montand, Michel Simon. E cosa dire degli sceneggiatori, tra cui Ennio Flaiano, Suso Cecchi D’Amico, Vasco Pratolini, Giuseppe Marotta, Giorgio Bassani, Eduardo, Age e Scarpelli? Enorme sforzo per la Berselli, anche in questo caso lasciata sola dopo che Veniero Colasanti aveva dato forfait. Nella lunga intervista che costituisce il libro la Berselli racconta che per un episodio in cui De Sica ed Eduardo dovevano essere vestiti da autisti d’autobus aveva chiesto le divise ad una ditta specializzata che in seguito aveva voluto le dediche degli attori per esporle come réclame. Ma l’episodio che l’aveva conquistata era stato quello girato in un paesello romano con Michel Simon, un vecchio parroco, e Sylvie, grande attrice nei panni di una donna anziana che non vuole più vivere.

Mentre la Berselli, con la sua discrezione e il suo acuto spirito d’osservazione imparava il mestiere attingendo anche alle risorse romane dei mercatini rionali e dei depositi delle sartorie cinematografiche, a Roma andava sviluppandosi quella “cucina” del cinema italiano composta da film che non erano capolavori ma che hanno costituito il tessuto tecnico e professionale su cui ha potuto svilupparsi e prosperare il cinema degli “autori”. Uno dei registi che per la Berselli ha sentito più fortemente il desiderio di un rinnovamento del cinema è stato Luigi Comencini, per il quale ha lavorato nel ’57 in Mariti in città e nel ’58 per Mogli pericolose. Di lui amava il modo di dirigere i bambini e il desiderio, da lei condiviso, di presentare caratteri nuovi, inediti, i personaggi di un’Italia che stava emergendo dal dopoguerra e si avviava verso il miracolo economico. E nella sua attività sentiva il bisogno di lasciarsi alle spalle il lavoro di ricostruzione storica per orientarsi verso personaggi sempre più moderni e stilizzati, verso un’essenzialità anche nel tratto del disegno.

E dopo altri film dei quali sarebbe lungo raccontare, l’occasione per questa essenzialità – e, si può dire, per questa “classe” – le si presenta con L’avventura di Michelangelo Antonioni. Un’avventura singolare e in certi casi terribile anche per la troupe del film, costretta a trasferirsi ogni giorno da Panarea al cretaccio di Lisca Bianca per le riprese, vittima di una tromba d’aria e di ben tre cambiamenti di produzione. Adriana racconta anche di un marinaio del posto che fu in grado di fermare la tromba d’aria con una specie d’incantesimo, ma sembra che tutti fossero come incantati dal regista e incapaci di abbandonare il set malgrado le enormi difficoltà della lavorazione. Qui Adriana Berselli conobbe Monica Vitti che vestì, anche molto diversamente, in quattro film.

Un altro regista molto amato dalla Berselli è stato Roman Polanski. Nel singolare film Che?, girato sulla costiera amalfitana, si può dire che la protagonista Sydne Rome, una turista approdata per caso in una villa semideserta, sia stato creato completamente da Adriana, che inventa la sua parrucca di riccioli biondo/rossi e la giacca di pigiama maschile che l’attrice indossa quasi per tutto il film, un film stralunato e abbastanza folle che con sottile ironia mette in scena l’inerzia italiana post sessantottina.

Non è possibile qui parlare dei 60 film cui la Berselli ha lavorato, del suo lavoro per dieci anni in Venezuela e del suo ritorno in Italia alle prese con l’ambiente televisivo delle trasmissioni più popolari. Ma nel libro, introdotto con competenza da Vittoria Caratozzolo, si può leggere la lunga intervista ad Adriana e, soprattutto, gustare la vivacità e la fantasia dei suoi bozzetti.

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