Troppo spesso schiacciato su opposizioni binarie, come quella celeberrima tra Stravinskij e Schönberg, rappresentanti l’uno della «reazione» l’altro del «progresso», il pensiero di Adorno è stato, in realtà, tutto attraversato da uno spirito dialettico, come testimoniano – se non altro – la Dialettica dell’illuminismo, scritta con Max Horkheimer, e soprattutto la Dialettica Negativa, summa filosofica della maturità. L’immagine del filosofo autoreferenziale, chiuso in uno snobismo culturale che ne fa il più intransigente tra gli apocalittici è smentita via via anche dalle numerose lezioni che a partire dal 1949 Adorno tenne all’Università di Francoforte, e che mentre testimoniano l’immediatezza e il movimento vivo della parola parlata, non perdono in precisione e anzi permettono di assistere a un pensiero quanto mai plastico e flessibile.

Di questo vasto materiale didattico, ancora largamente inedito in Italia, è stato ora tradotto un corso in ogni senso fondamentale, quello del 1958 dedicato proprio alla Introduzione alla dialettica (ETS, pp. 238, € 25,00), che riproduce minuziosamente l’edizione tedesca, compreso il ricco apparato di note, ed è curato con rigore e padronanza da Giovanni Zanotti, già autore per Il Mulino della nuova edizione dei Tre studi su Hegel.
L’aspetto più eclatante di queste lezioni è proprio la capacità di Adorno, troppo spesso trascurata, di articolare vicendevolmente non solo forma espositiva e contenuto concettuale, ma anche discorso teoretico e immediatezza quotidiana, ottenendo un vero e proprio esercizio di dialettica viva, ricavata dice Adorno – per «negazione determinata», interrogandone i preconcetti più frusti ed abusati. Il procedere argomentativo delle lezioni può così saltare disinvoltamente dal confronto con il testo hegeliano all’esempio tratto dalla quotidianità, dalla formulazione teoretica più rigorosa alla decostruzione dei luoghi comuni del pensiero prefilosofico, arrivando a riguardare le condizioni materiali di vita dei lavoratori delle miniere.

Come l’essenza per Hegel non è qualcosa che possa semplicemente essere rinvenuto, accertato, perché consiste invece nel movimento stesso della cosa, nel nesso intrinseco che ne determina le diverse manifestazioni, così la dialettica non viene determinata da Adorno come procedura, come schema di pensiero, ma viene fatta emergere nel confronto sistematico con il proprio oggetto. Tuttavia, questa intrinseca mobilità del pensiero dialettico non va confusa con una forma di relativismo decostruttivo, e nemmeno con l’esercizio secolarizzato di una teologia negativa: la cosa del pensiero, ossia quel contenuto che non si lascia mai ridurre integralmente al concetto, non è presente in un al di là del pensiero discorsivo, né esiste alcun luogo originario dal quale potrebbe essere attinto o custodito. Il pensiero dialettico chiama questo contenuto «negativo» appunto perché la sua determinatezza non si offre all’intuizione, all’evento, o alla (de)costruzione arbitraria, ma emerge solo nella frizione con il concetto.

La dialettica a cui lavora Adorno implica quindi il tentativo di mantenere tutta la cogenza del pensiero determinante, senza cedere alla sua violenza identificante. Esercizio di riflessione che non si contenta mai dei propri risultati, la dialettica trae anzi il proprio criterio esclusivamente dalla resistenza che la cosa stessa oppone all’identità concettuale. E proprio di questo esercizio offrono esempio le lezioni ora tradotte, che restituiscono l’immagine viva di un filosofo lontano dalle atmosfere autocompiaciute dell’Hôtel Abisso in cui molti si ostinano a relegarlo.