Adolescenze sui bordi dell’immaginario tra centro e margini
Al cinema «Una sterminata domenica», in sala il potente esordio di Alain Parroni, premiato negli Orizzonti a Venezia. Tre ragazzi sul litorale romano, il bisogno di lasciare tracce, una generazione
Al cinema «Una sterminata domenica», in sala il potente esordio di Alain Parroni, premiato negli Orizzonti a Venezia. Tre ragazzi sul litorale romano, il bisogno di lasciare tracce, una generazione
Alain Parroni ha trent’anni, è nato e cresciuto nei luoghi che sono il paesaggio del suo bel film d’esordio, Una sterminata domenica, premiato nel concorso Orizzonti alla Mostra di Venezia 80 (dove era già stato, alla Sic, nel 2017 con il corto Adavede) e ora in sala. Questa conoscenza di vissuto non si ferma però all’autobiografia o al ritratto generazionale, anche se, come racconta lui stesso, il film si intreccia all’immaginario stratificato della sua generazione abituata a riprodursi all’infinito, a navigare tra le immagini di smartphone, social media, selfie ecc, con l’ostinazione (necessità) di lasciare comunque – e quasi contro l’immaterialità digitale – una traccia, un’impronta, una presenza di sé nel mondo. È questo che cercano anche i protagonisti, tre ragazzi giovanissimi (sono Enrico Bassetti, Zacari Elmas, Federica Valentini) in un’estate nella periferia romana: c’è chi come Kevin scrive il suo nome ovunque, e chi come Brenda e Alex , che di anni ne hanno diciotto sta per avere un bambino. Nei loro vagabondaggi di un on the road senza orizzonte fra un centro commerciale, il mare, la macchina che è quasi una casa, e Roma che sembra sfuggirgli, in cui si perdono anonimi e minuscoli, il tempo si dilata e si sospende insieme. È un sogno, è un incubo, accade davvero, i giorni scorrono o è solo un istante sul bordo di fantasia e realtà? La pancia di Brenda cresce, il tempo prende all’improvviso un’altra consistenza.
«SE VIVI in campagna, a 30 km da una delle più antiche città del mondo, sei inondato da pellicole hollywoodiane, pop e anime giapponesi, nonché da film di autori sconosciuti, scaricati da server remoti e sottotitolati approssimativamente. Alex, Brenda e Kevin non sono altro che il sogno di un adolescente preoccupato che si addormenta con lo smartphone in mano davanti alla tv accesa a tutto volume» dice Parroni nelle sue note di regia. Eccoci allora in questa visione dove i ragazzi corrono su un litorale poco romantico, attraversano una campagna che non è più tale, quasi innaturale nel suo essere pecore e erba secca sul bordo dei palazzi, camminano veloci nella metropoli in cui simboli iconici, come piazza San Pietro e il papa e i fedeli rimbalzano anch’essi su un mega schermo. Ci sono gli incontri, il pecoraio che forse è anche qualcos’altro, magari un bandito, e c’è la nonna di Brenda che è pure un po’ strega: religiosa e pagana, nelle sue pratiche scaccia malocchio con cui leggere il futuro – è la nonna del regista. Dunque? Centro e margini, giornate infinite, la noia, il desiderio di rompere ogni cosa in posti che sembrano dimenticati. La conoscenza rende ogni dettaglio vero e insieme permette di astrarre, si tratta di vissuti senza generalizzare in un io collettivo, è un sentimento, uno stato dell’essere, qualcosa che si attraversa, la fragilità dell’adolescenza e l’incognita che arriva improvvisa di crescere. Gli adulti però non ci sono, nel senso dei genitori, quelli che appaiono sono più vecchi o sono comunque altri, esistono soltanto questi ragazzi senza troppi appigli per «spiegare» come sono e come sognano (forse di essere). Ma la potenza del film e la sua scommessa sono proprio qui, in questo costante rimettere in discussione ogni «struttura» narrativa per affidarsi invece alle proprie immagini – una dichiarazione sorprendente oggi che tutto è format o script.
NON CHE LA SCRITTURA manchi (la sceneggiatura è dello stesso Parroni con Giulio Pennacchi e Beatrice Pucilli), al contrario è precisa, netta nelle tracce che delineano i percorsi dall’apparenza casuale dei personaggi. Ma il regista non cerca di dare risposte o letture già confezionate agli spettatori, lasciando invece questo suo universo libero di esistere nella sua ricerca visuale e lì, complice la fotografia di Andrea B.Manienti, affermarsi per come è, provocare spaesamento e sorpresa in chi lo abita e in chi guarda sottraendolo agli stereotipi periferici divenuti cifra comune. Esiste se ci credi, ognuno ci ha messo qualcosa di sé. Non un unico racconto ma quello di molte esperienza, di cui lui prova a restituire il respiro, l’aria, le sensazioni che non si riescono a nominare nell’invenzione di un nuovo linguaggio.
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