In attesa di riguadagnare dal prossimo anno le due sedi al centro della città, il Palafestival e il Teatro Rossini, quasi pronto dopo il restauro, il Rossini Opera Festival si è arroccato per il 2023 nel bastione cementizio dell’Arena Vitifrigo dove dall’11 agosto presenta le tre opere in cartellone. Una sorta di moderno castello di Canossa, la fortezza in cui si apre la vicenda di Adelaide di Borgogna, l’opera andata in scena il 13 agosto in un’edizione del festival che si concentra con una ricercata proposta di programma sull’impiego di auto-imprestiti, caratteristica intrinseca nel procedere compositivo degli operisti fino al primo Ottocento e in particolare del genio prolifico di Gioachino Rossini: accanto alla ripresa del felice spettacolo di Mario Martone per Aureliano in Palmira viene infatti offerto un confronto ravvicinato tra Adelaide di Borgogna e Eduardo e Cristina, la seconda pensata nel 1818 per Venezia come centone, reimpiegando nove numeri della prima. Con una storia di rappresentazioni scarse dopo la sfortunata prima romana del 1817 e con sparute riprese in epoca moderna, Adelaide sconta il giudizio quasi inappellabile di opera seria minore, scritta da Rossini distrattamente e in fretta, su un libretto mediocre ispirato a un farraginoso conflitto medievale.

LA DERIVAZIONE storica in realtà, con la difesa di Ottone I della vedova Adelaide nel suo diritto al trono d’Italia, insidiato dall’usurpatore Berengario, si inquadra con pertinenza storica nel clima culturale della Restaurazione. L’ossatura dell’opera invece propone molta musica bella, fiorita e vigorosa, anche s è evidente come Rossini eviti di dispiegare a Roma, dove aveva proposto solo opere buffe, il linguaggio sperimentale che andava elaborano negli stessi mesi a Napoli. In Adelaide, stretta tra le formidabili creazioni di Armida e Mosé in Egitto, vengono impiegati modelli classicisti di taglio più convenzionale. Già dall’ouverture, rielaborazione di quella della Cambiale di Matrimonio, si stabilisce il clima elegiaco-eroico che innerva i due atti, dagli articolati duetti alle vaste campiture delle pagine di assieme, i momenti più felici, fino alle impegnative arie dei tre protagonisti.

RIMPOLPATA nei fiati e rinvigorita nel disegno, l’ouverture tolta alla Cambiale di matrimonio viene diretta da Francesco Lanzillotta con l’impostazione attenta e sensibile cui è improntata poi tutta la sua lettura dell’opera, dai morbidi accompagnamenti delle arie alle increspature degli archi del duetto tra i rivali Ottone e Adelberto, fino al trascinante finale primo, complesso meccanismo a orologeria rimodellato su quello impareggiabile dell’Italiana in Algeri, restituito senza soffocare cantanti e coro nelle spire dell’ossessione ritmica. Ancora, complice il suono caldo e la precisione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, il mobilissimo quartetto del secondo atto, cui segue la grande aria di Adelaide, ennesimo reimpiego dell’aria finale del Barbiere di Siviglia.

LA PARTE della protagonsta, oltre al virtuosismo vocale riceve il pathos di un registro centrale pieno da Olga Peretyatko, Adelaide sempre convincente, tolta qualche lieve sfocatura negli acuti. All’Imperatore Ottore, parente più altolocato ma meno personale di Tancredi, Varduhi Abrahamyan conferisce baldanza melismatica e dignità d’accento. Nel costruire le due parti degli usurpatori Rossini dota Adelberto di una personalità drammaturgico-musicale più sfaccettata, da vero protagonista, che il tenore René Barbera sbalza vigorosamente almeno sul piano vocale, mentre il basso Riccardo Fassi rende al meglio la vocalità proterva e ‘nera’ del padre, il traditore Berengario. Eurice e Ernesto hanno le belle voci di Paola Leoci e Antonio Mandrillo. Allestire in modo plausibile le opere del Rossini serio non è mai impresa semplice: il regista Arnaud Bernard si affida alla soluzione del teatro nel teatro, che Rossini stesso sfrutta da par suo nell’opera buffa ma che traslata nell’opera eroica produce risultati blandi e generici. Ambientando tutta vicenda in una lunga prova teatrale, tra equivoci e controscene, si forzano i connotati cavallereschi della musica alla ricerca di un carattere semiserio che non le appartiene. Alla fine sono proprio le tele dipinte, l’andare e venire del baldacchino e del trono in stile gotico, i costumi di gusto storico e le scene di soldataglia – scene di Alessandro Camera e costumi di Maria Carla Ricotti – a inquadrare nonostante tutto i momenti più alti dell’opera in una prospettiva plausibile, a patto di tralasciare eventuali sottotesti meta-teatrali. Probabilmente anche il pubblico ha pensato lo stesso, festeggiando senza esitazioni lo spettacolo.