È morto ieri improvvisamente, all’età di 61 anni, Steve Albini. Secondo quanto riportato da Pitchfork, il musicista e produttore si trovava nel suo studio di registrazione, l’Electrical Audio a Chicago, quando ha avuto un attacco di cuore. Una morte tristemente prematura – basti pensare che l’uscita del suo nuovo album con gli Shellac, To All Trains, è prevista per il 17 maggio – che ha però colto Albini nell’habitat che più gli era congeniale.

Nato da genitori torinesi immigrati negli Usa, i primi passi nel mondo della musica li aveva mossi negli anni ’80 quando a Chicago, dove si era trasferito per studiare, si era accostato alla scena hardcore punk dando poi vita ai Big Black in cui suonava la chitarra e cantava. Il gruppo pubblicò solo due lp – Atomizer e Songs About Fucking – prima di sciogliersi nel 1987, ma è diventato una band di culto per il genere industrial. Realizzarono anche un singolo intitolato Il Duce, con lo stesso Mussolini raffigurato in copertina davanti a un tricolore: una chiara provocazione punk di un musicista apertamente antifascista.

Sin dagli inizi Albini si era dedicato all’attività di produttore, ma in maniera piuttosto atipica. Nutrendo un’avversione nei confronti delle logiche dell’industria musicale – rimane iconico il suo saggio pubblicato nel 1993, The Problem with Music, in cui spiega con quali tecniche le major si arricchiscono depauperando i musicisti di ricavi e il pubblico di varietà di scelta – ha sempre preferito definirsi un recording engineer rifiutando, per altro, di usufruire delle royalties abitualmente destinate ai produttori. «Non credo che si debba pagare un medico di più perché un paziente non muore. Penso che il medico dovrebbe “farsi il culo” per ogni paziente. Non credo che dovrei essere pagato per il successo di qualcun altro» affermava in un’intervista con il suo tipico stile tagliente. Una postura che non è cambiata nemmeno quando Albini ha prodotto dischi di enorme successo, su tutti In Utero dei Nirvana (1993). Fu Kurt Cobain a cercarlo, rimasto colpito dal suo lavoro per Surfer Rosa dei Pixies e Pod delle Breeders. Tra gli alti artisti con cui ha lavorato, PJ Harvey, Robert Plant, i Neurosis, i Bush, i Low, gli Uzeda, gli Zu e moltissimi altri – lo stesso Albini stimò di aver curato il suono di circa 1500 album, per lo più di musicisti underground.

PER QUANTO riguarda la musica suonata, dopo lo scioglimento dei Big Black formò i Rapeman, che ebbero vita breve, e poi nel ’92 gli Shellac con cui si spostò verso il math rock. Il loro ultimo album, Dude Incredible, risale al 2014. Tra una settimana potremo ascoltare il triste, ma sicuramente potente, canto del cigno.